La vera storia di Aladino dal racconto La storia di Aladino e della lampada meravigliosa contenuto nella raccolta Le mille e una notte
Cina, genitori apprensivi, un Mago Africano… Ma come di cosa si parla? Di Aladino, no?
Chi non conosce a memoria il cartone animato Aladdin, prodotto nel 1992 dalla Walt Disney per la prima volta e il live action da poco distribuito nelle sale cinematografiche rimasto, per lo più, fedele alla prima versione?
Ebbene, dimenticate tutto!
Probabilmente, è noto a molti che la storia di Aladdin e le sue avventure siano ispirate dal racconto de La storia di Aladino e della lampada meravigliosa che costituisce uno dei tanti e splendidi racconti de Le mille e una notte.
Ciò che la maggior parte delle persone ignora, però, è che la storia di Aladino è ben diversa da quella del suo corrispettivo cinematografico Aladdin, a cominciare dalle sue origini. Nell’incipit del racconto di questa “epopea orientale”, infatti, si legge:
“Nella capitale di un regno della Cina, ricchissimo e molto esteso, il nome del quale ora non ricordo…”
Perciò, con sgomento di chi legge adesso, siamo costretti ad abbandonare gli scenari arabeggianti della mitica Agrabah, città, tra l’altro, di pura fantasia, a cui il pubblico è abituato dal 1992, per far posto ad una ambientazione ancora più orientale: la Cina.
Un altro particolare fondamentale per la definizione del personaggio di Aladdin, è l’assenza dei genitori e le condizioni di vita del protagonista che ne conseguono. Nella trasposizione cinematografica, Aladdin è un giovane, orfano fin da piccolo, costretto a vivere rubacchiando e, per questo, visto di mal occhio da tutta la cittadina di Agrabah, ma nonostante tutto, di buon cuore.
Niente di più lontano dalla verità!
Innanzitutto, Aladino ha entrambi i genitori: il padre, Mustafà, un povero sarto e la mamma, il cui nome non è menzionato. Il piccolo Aladino, perciò, non è costretto a vivere da fuorilegge, ma si dice che comunque “…era stato allevato con trascuratezza ed era un monellaccio. Era cattivo, ostinato, disobbediente a suo padre e a sua madre… e passava il tempo a giocare per la strada o nelle piazze, con piccoli vagabondi, discoli al par di lui.” Ma il povero Mustafà muore presto per il dispiacere che Aladino gli procura rifiutandosi di imparare il suo mestiere per iniziare ad avere di che vivere.
Fin qui, ad eccezione dell’ambientazione e della situazione (e scusate se è poco!), l’atmosfera cupa e triste dell’opera e dell’adattamento cinematografico vanno di pari passo.
Ne Le mille e una notte entra in gioco un oscuro Mago Africano che raggira Aladino e sua madre dicendo di essere il fratello del padre defunto e di esser stato per lungo tempo in giro per il mondo per poi stabilirsi in Africa. La finta afflizione di quest’uomo per la perdita del presunto fratello e la sua finta grande volontà di dare un futuro al presunto nipote ingannano tutti, tanto da riuscire a convincere Aladino ad entrare in una caverna, dove il presunto zio non può entrare, per recuperare una lampada. Prima di entrare, però, il subdolo mago regala al ragazzo un anello che lo avrebbe protetto da qualsiasi male, dal quale, come si vedrà, Aladino non si separerà mai.
E il temibile visir del sultano Jafàr? Nel racconto non esiste. Esiste un visir innocuo e fedele al sultano, ma nulla di cui preoccuparsi.
La famosa battuta del cartone, riportata anche nel live action, “Prima la lampada!” è presente anche nell’opera e, arrivati a questo punto, Aladino e Aladin ricevono lo stesso ben servito e rimangono intrappolati nella caverna.
Ed è qui che subentra il genio!
Ma, nell’opera originale, niente pelle blu, niente simpatia, né clausole specifiche sui desideri, ma anzi: “Improvvisamente un genio di statura immensa e dallo sguardo spaventevole, prese forma davanti a lui come se venisse da sottoterra…”
Salvato dal genio e tornato a casa, per qualche anno Aladino e la madre riescono ad avere di che vivere grazie alla lampada; solita modalità: strofina la lampada, appare il genio, esprime un desiderio e il genio lo realizza.
Si entra nel vivo quando Aladino incontra la sua amata.
Ma chi, Jasmine? Assolutamente no!
Si tratta della principessa Badr al-Budùr, figlia del sultano e promessa in sposa al figlio del visir e di cui Aladino si innamora perdutamente, tanto da fingere di essere in possesso di grandi ricchezze per poter prenderla in moglie, sempre con l’aiuto del genio della lampada.
Riuscito nel suo intento, Aladino e Badr al-Budùr vivono felici in un palazzo estremamente lussuoso creato dal genio dietro le direttive di Aladino, ma torna all’attacco il Mago Africano che fino a quel momento aveva creduto che Aladino fosse morto intrappolato all’interno della caverna.
Invidioso della felicità del ragazzo, ottenuta grazie alla lampada, il perfido Mago Africano si vendica di Aladino rubandogli la magia e chiede al genio di portare il palazzo dalla Cina all’Africa, con tanto di servitori e principessa al suo interno.
E qui spunta fuori un secondo genio: il genio dell’anello, lo stesso anello che quello che si pensava essere uno zio amorevole aveva donato ad Aladino.
Con l’aiuto del genio dell’anello, il ragazzo si fa trasportare fino in Africa e con uno stratagemma infallibile riesce ad avvelenare il Mago Africano e a far tornare il palazzo, la principessa e i servitori in quel mitico regno cinese.
Nonostante le numerose discrepanze tra le trame, anche ad Aladino e alla principessa Badr al-Budùr è riservato il lieto fine, infatti:
“Essi regnarono insieme per lunghi anni, e lasciarono una illustre posterità.”
Eppure qualche elemento che potrebbe farci storcere il naso c’è: Aladino non rivelerà mai alla sua sposa e al sultano le sue umili origini e di essere arrivato a loro con l’inganno; l’utilizzo dei desideri è illimitato e, per questo, superficiale, non ben soppesato; inoltre, la figura della principessa è marginale e, nonostante l’amore sincero di Aladino, Badr al-Budùr verrà, di fatto, comprata. Insomma, tutto all’opposto rispetto al nuovo live action che dà una personalità e una forza d’animo impareggiabili al personaggio femminile, con tanto di assolo urlato a squarciagola “Questa voce nessuno la spegne!”.
In fin dei conti, però, bisogna considerare i contesti. Le mille e una notte è nato molti secoli fa e ha raccolto i racconti di luoghi molto lontani dai nostri geograficamente e soprattutto culturalmente.
Quindi, com’è il caso di tutte le trasposizioni cinematografiche, meglio il film o il libro?
Ludovica