L’abbaglio recensione film di Roberto Andò con Toni Servillo, Salvo Ficarra e Valentino Picone [Anteprima]
Dopo La stranezza, in cui il duo comico di Ficarra e Picone si incontrava per la prima volta con Toni Servillo, Roberto Andò torna alla regia portandoci ancora più indietro nella nostra storia.
Nel precedente film si raccontava un’Italia pre-fascista, in cui andare a teatro era ancora il punto di ritrovo per l’italiano medio, e il Maestro Luigi Pirandello camminava tra i popolani come una moderna rockstar. Qui si va ancor più indietro e si torna alle origini del nostro Paese, quando Garibaldi si apprestava a liberare la Sicilia dai Borboni, seguito dai famosi Mille.
Toni Servillo torna alla carica e interpreta magistralmente (come suo solito) il fu colonnello Orsini. Questa volta, a differenza del film precedente, il suo è un un ruolo meno silenzioso e riflessivo: deve fomentare gli uomini, guidarli a cavallo in battaglia e ispirare il popolo.
L’Abbaglio è una commedia amara che combina i tratti migliori delle pellicole con Ficarra e Picone (ironia, cinismo e un’ottima critica sociale) con un dramma storico che non delude.
La fattura del film ricorda la “commedia all’italiana”, con evidenti omaggi al genere. Si riflette sulla Sicilia, sull’Italia nascente e sui valori individuali che potrebbero cambiare le sorti di un Paese. Le parti comiche del film colpiscono nel segno e sono affidate per lo più alla grande alchimia tra Ficarra e Picone.
Come Sordi e Gassman ne La grande guerra di Monicelli, i protagonisti sono due guasconi, bugiardi e vigliacchi, interessati solo tornare alle loro vite, mentre la storia dell’Italia avanza e li trascina con sé. Il richiamo al capolavoro di Monicelli non è casuale: una scena del film sembra omaggiarlo in modo esplicito.
Come due Barry Lyndon siciliani, i protagonisti entrano nell’esercito, scappano, vi rientrano e diventano eroi casualmente. La scrittura poteva adagiarsi su sé stessa, puntando solo sulla commedia e sull’alchimia delle battute, ma invece è molto dinamica. I rapporti tra i personaggi e le singole battute sono fondamentali per la buona riuscita e per il messaggio finale.
La regia, oltre a curare bene le singole interpretazioni, è di altissimo livello. Alcune inquadrature sono notevoli, sorprendendo per un film che punta prevalentemente sulla commedia. Le sequenze di battaglia sono ottime e la fotografia aiuta lo spettatore a trasmettere l’impressione di osservare le immagini di un libro di Storia: la nostra Storia.
Roberto Andò racconta una Sicilia che cerca quella libertà tanto dichiarata da Garibaldi e Orsini, ma si notano già le avvisaglie della Sicilia futura, dove il caos forse porta più guadagni che altro.
In La stranezza si raffigurava un’Italia aristocratica che non aveva voglia di impegnarsi per comprendere certi messaggi e si mollava un’opera di Pirandello dopo dieci minuti perché “troppo celebrale”, ma pronta a chiamarlo Maestro per convenzione, senza chiedersi il perché qualcuno meriti ammirazione. Qui, invece, il finale è meno criptico, ma forse ancora più cinico.
Qual è l’abbaglio del titolo? È una domanda che ci accompagna per quasi tutto il film. Quando arriva la risposta non si può che concordare con l’ipotesi proposta, perché non ci sono certezze, ognuno si fa la propria idea. L’abbaglio della commedia che in realtà nasconde un forte dramma capace di far riflettere? O l’abbaglio di un cinema italiano che riflette su sé stesso senza voler davvero cambiare?
Forse la risposta si potrà avere se si presenterà la possibilità di fare un terzo film per completare quella che parrebbe voler essere una trilogia del trio Servillo – Ficarra – Picone.