Lady Bird recensione film di Greta Gerwig con Saoirse Ronan, Laurie Metcalf, Timothée Chalamet, Lucas Hedges, Beanie Feldstein e Odeya Rush
Lady Bird è l’incantevole pellicola del 2017 firmata dalla brava Greta Gerwig che, dopo essersi affermata come attrice soprattutto grazie al mumblecore, movimento americano di cinema indipendente nato all’inizio degli anni 2000, si sta facendo strada anche nel campo della regia, regalando vere e proprie delizie cinematografiche come Piccole Donne.
Pensando che ci saremmo ritrovati a vedere l’ennesimo chick flick americano e non amando particolarmente il genere, a torto abbiamo spesso snobbato Lady Bird, che contro tutte le aspettative ci ha invece fortemente coinvolto, immergendoci nella storia di Christine, interpretata da Saoirse Ronan, migliore attrice in un film commedia o musicale ai Golden Globes 2018, nelle vesti di un’intraprendente adolescente che si ribella alla provincialità della periferia di Sacramento, realtà in cui è nata e cresciuta.
I primi minuti sono dedicati al tagliente scontro verbale tra Christine, che in realtà vuole essere chiamata Lady Bird, e la mamma Marion, interpretata da una bravissima Laurie Metcalf, candidata come miglior attrice non protagonista agli Oscar 2018. Il diverbio iniziale tra le due focalizza da subito una delle tematiche principali del film, cioè lo scontro, sia generazionale ma anche di opinioni, tra madre e figlia, la prima che si lamenta di aver cresciuto una figlia snob e irriconoscente, la seconda che è stufa di vivere in contesto piatto e chiuso e sogna di andare al college nella stimolante New York. Questa ribellione nei confronti della madre, che vorrebbe programmare il futuro della figlia spingendola a iscriversi ad una vicina e molto più economica università pubblica della California, è una manifestazione di quella che è la sua personalità, un’affermazione del passaggio dalla provinciale Christine alla trasgressiva Lady Bird dai capelli colorati di rosso.
Studentessa dell’ultimo anno di un liceo cattolico della provincia californiana, Lady Bird si scontra più volte anche con suor Sarah Joan (Lois Smith), insegnante che la riprende spesso per il suo temperamento troppo esplosivo e perché non concorda con lei sulla scelta del college. Ovviamente non mancano i dramma amorosi e con le amiche, come in ogni coming of age che si rispetti. L’eccentrica liceale si divide infatti tra la delusione di aver saputo che il suo primo fidanzato è gay e l’aver perso la verginità con l’arrogante Kyle, interpretato da Timothée Chalamet. Anche in amicizia le cose non vanno meglio, dopo che si avvicina alla superficiale Jenna (Odeya Rush), trascurando la sua migliore amica Julie (Beanie Feldstein).
Lady Bird vive tutte le situazioni con passione e determinazione ed è forse proprio questa la forza della pellicola di Greta Gerwig, inno colorato e estremamente dettagliato del cambiamento e della crescita personale dall’essere una teenager all’età adulta e dell’indipendenza. Sebbene la regista lo abbia negato, l’opera è considerata autobiografica: ogni scena e inquadratura trasudano ricordi ed esperienze già vissute, in cui ci si può facilmente rispecchiare e che veicolano il messaggio principale che emerge soprattutto nel finale quando Christine, stabilendosi a New York, capisce che non è poi così perfetta come la immaginava e rimpiange la sua Sacramento.
Anche se per Lady Bird cercare di evadere dalla propria realtà e trovare nuovi stimoli è un passaggio quasi obbligato all’età adulta, è altrettanto importante per lei restare fedele alle proprie radici, alle quali non solo è profondamente legata ma che resteranno per sempre i suoi punti di riferimento.
Arianna