Lamb recensione film di Valdimar Jóhannsson con Noomi Rapace, Hilmir Snær Guðnason, Björn Hlynur Haraldsson e Ingvar Sigurðsson
Chissà cosa avrebbe fatto mia madre se, quel giorno di quasi trent’anni fa, avesse dato alla luce un piccolo cucciolo d’uomo con il volto di un agnellino. Letteralmente. E’ questo infatti l’evento che scuote e intorno cui si sviluppa Lamb, esordio alla regia di Valdimar Jóhannsson dopo una lunga trafila nei comparti tecnici e di post-produzione di molte grandi produzioni americane. Nelle asperità di un’Islanda ancora incontaminata dall’essere umano, una coppia di allevatori (Noomi Rapace e Hilmir Snær Guðnason) deve fare i conti con un parto sovrannaturale di uno dei propri capi di bestiame. Ma è l’aggettivo giusto per definirlo?
Il tono di questo film, arrivato alla Festa del Cinema di Roma dopo l’anteprima mondiale nella sezione Un Certain Regard dell’ultimo Festival de Cannes, sembra piuttosto riportare tutta la sua singolarità nel regime dell’ordinario. Lì dove il mondo sembra ancora essere una frontiera inesplorata, anche un caso eccezionale può essere un’espressione della vita accettata senza troppe difficoltà. Siamo all’interno di un folklore remoto e intriso di magia ma così vivido da essere del tutto naturale e logico, nonostante un’atmosfera cupa e tendente al malinconico. L’irruzione della logica, incarnata dal fratello di uno dei due protagonisti (Björn Hlynur Haraldsson), deve piegarsi a una realtà che, per quanto inconsueta, non sembra aver nulla da rimproverarsi.
L’oscillazione tra miracolo e freak è centralissima nella costruzione di Lamb e scatena un confronto indiretto e alternato tra entità costrette improvvisamente a condividere uno strano sottoinsieme. Su questo terreno si consuma l’atmosfera horror di un racconto che altrimenti potrebbe essere scambiato senza troppi indugi con un dramma soft costruito sul significato del termine famiglia. Il regista islandese gioca con le sfumature ambientali, lasciando lavorare nell’ombra oscure presenze e facendo in modo che le location prendano il sopravvento sulla narrazione per portare fuori strada lo spettatore e attirarlo in un’inquietante trappola.
Così Noomi Rapace può guidare un esiguo ma centratissimo cast alla ricerca di un equilibrio in quella che potrebbe sembrare ai più sprovveduti una follia, ma che riesce a rimanere sul filo del rasoio grazie alle loro interpretazioni e alla parsimonia di dialoghi. C’è tanta compostezza, così nell’azione come nelle scene tematiche, da dimenticare in fretta che Ada è un agnello partorito dal bestiame e, nonostante tutto l’amore donatole, fuori posto.
Torna alla mente solo quando si arriva alla resa dei conti e bisogna avere il coraggio di officiare il sacrificio estremo imposto ed evocato fin dal titolo. C’è un prezzo da pagare per la felicità e Lamb e la remota Islanda non fanno eccezione: non si possono prendere cose che non si possiedono senza chiedere il permesso e aspettarsi che tutto fili liscio fino in fondo.