Lasciali parlare recensione film di Steven Soderbergh con Meryl Streep, Candice Bergen, Dianne Wiest, Lucas Hedges e Gemma Chan
Continua a sperimentare Steven Soderbergh, a seguire un’idea di cinema che fa della prolificità e del cambiamento dei modelli produttivi una costante. Dopo Unsane, High Flying Bird e Panama Papers, tre film in due anni, Lasciali parlare rappresenta una nuova sfida, un colore diverso per un regista camaleontico, capace di lavorare con progetti ad alto budget o produzioni in tutto e per tutto indipendenti.
Dieci giorni di riprese, una nave da crociera come set della vicenda, una sceneggiatura scritta da Deborah Eisenberg che lascia grande spazio all’improvvisazione, una storia di rimorsi, incomprensioni, legami indissolubili nonostante gli errori: il nuovo film di Soderbergh sembra, ancora una volta, qualcosa di diverso, di lontano, ma allo stesso tempo perfettamente coerente con la visione di un autore che ha sempre puntato sulla trasformazione, stilistica e dei contenuti.
Il viaggio da New York a Southampton di Alicia (Meryl Streep), scrittrice che ha vinto il Premio Pulitzer grazie a un romanzo che non ha mai molto amato, forse anche per questioni personali, diventa l’occasione per ripensare alla sua vita, alla sua carriera, al rapporto con le amiche Susan (Dianne Wiest) e Roberta (Candice Bergen), che non l’ha mai perdonata per aver creato un personaggio modellato su di lei che è stato la causa della fine del suo matrimonio, all’amore per il nipote Tyler (Lucas Hedges).
I ritmi dilatati della crociera si trasformano in un’occasione irripetibile per Alicia e gli altri: (ri)conoscersi, provare ad andare avanti e allo stesso tempo ripensare al passato e a quello che sono diventati.
Lasciali parlare è un film che riflette molto sulla scrittura, sulla costruzione del racconto, sulla scelta del genere – in questo è significativa la figura di Kelvin Kranz, immaginario autore di gialli che è diventato una vera e propria “industria a sé stante” – sull’importanza delle parole (magnifico il monologo della Streep sulla differenza tra “crociera (cruise)” e “traversata (crossing)”). Ogni riflessione dei protagonisti ha un rimando alla società di oggi, a un modo di intendere la produzione culturale che è in continua evoluzione o involuzione, a seconda dell’angolatura da cui si guarda.
Soderbergh gira in modo molto classico, pur servendosi delle RED Komodo, videocamere digitali mini, mai utilizzate prima, che grazie alla loro alta risoluzione consentono un’ottima resa anche senza una grande illuminazione sul set. Sono tutti dialoghi con campi e controcampi, riempiti dalla capacità di improvvisazione degli straordinari interpreti, la Streep su tutti. Eppure, in un contesto così âgé, fanno capolino riflessioni estremamente contemporanee, come quella sul cielo stellato artificiale per colpa di Elon Musk, o sulla ricerca del passato di un possibile pretendente (di Roberta) sul web. Perché il cinema di Soderbergh si porta dietro sempre una riflessione su dove stia andando la società.
Lasciali parlare è quindi un esperimento curioso, un’opera che ha più valore nei significati correlati che non in quelli intrinsechi. Un po’ perché, da un certo momento in poi, si comincia ad avvertire la mancanza di un punto a cui approdare, di una reale chiusura del cerchio. Un po’ perché Soderbergh si diverte a costruire un andamento episodico in cui ciascun dialogo sembra più potente se analizzato a sé stante, senza incastonarlo all’interno della narrazione. Eppure, con pochissime pennellate, basandosi sull’ottimo script della Eisenberg, riesce a costruire dei personaggi ricchi di sfumature, dei quali ci sembra di conoscere perfettamente il passato anche se non lo abbiamo “visto”. Per cui un film “altro” si costruisce all’interno della mente dello spettatore che si trova a immaginare sia quello che è accaduto prima sia ciò che, molto probabilmente, potrebbe accadere dopo (e che il regista tronca improvvisamente). Perché il messaggio di Lasciali parlare sta tutto nell’importanza e nella forza della scrittura, che può tanto descrivere quanto stimolare l’immaginazione.