Le Assaggiatrici recensione film di Silvio Soldini con Elisa Schlott, Max Riemelt, Alma Hasun, Emma Falck e Olga Von Luckwald
Prima del 2017 nessuno sapeva della loro esistenza, nessuno conosceva la storia delle “assaggiatrici” di Hitler.
Autunno 1943: Rosa, una giovane in fuga da Berlino a seguito dei bombardamenti che stanno imperversando in città, scappa nella casa di campagna con gli anziani suoceri in attesa del ritorno del marito, ormai da anni al fronte. La ragazza passa le sue giornate accarezzando la foto del coniuge con la speranza di rivederlo al più presto mentre fuori si consuma la tragedia del secolo, tra bombardamenti e sospetti attentati alla vita del fuhrer.
La sua vita cambia improvvisamente una mattina, quando riceve la visita di un ufficiale delle SS che la trascina, insieme ad altre sei donne, in un furgone diretto in un luogo misterioso nella foresta tacendo il motivo dell’operazione. Ad attenderle una tavolata imbandita con ogni bene e nessuna spiegazione, solo l’invito a mangiare tutto fino all’ultimo boccone. La vera ragione sarà loro svelata da lì a breve: diventare le cavie di Hitler, testare i suoi pasti per evitare ogni possibile tentativo di avvelenamento, in cambio di una ricompensa in denaro.
Il nuovo film di Silvio Soldini tratto dal romanzo vincitore del premio Campiello Le assaggiatrici (2018) della scrittrice Rosella Postorino si ispira a una storia vera, quella di Margot Wolk, l’ultima assaggiatrice dei pasti di Adolf Hitler.
Il racconto si basa su una sceneggiatura dalle basi estremamente solide e articolate, una storia stratificata che si adatta perfettamente al linguaggio cinematografico donando allo spettatore un ulteriore spaccato sulle atrocità perpetrate dalla Germania nazista durante il secondo conflitto mondiale, ma sotto una lente diversa.
Pagate per rischiare di morire, costrette (non a caso, tutte donne) a mangiare ogni giorno come se fosse il loro ultimo pasto in nome di uno scopo più alto, sette donne la cui vita è sacrificabile, poco importante. Sette sconosciute, sette vite che potrebbero sfumare ad ogni morso, ad ogni sorso.
Tutto accade lì, in quella finta sala da pranzo agghindata con stendardi dagli stemmi nazisti e imbandita con ogni bene, ma è tutto finto, un’illusione dolce e amara che, in quel microcosmo, racconta la guerra con una violenza lontana solo fisicamente dal campo di battaglia. Tra i morsi della fame e il timore di morire, le assaggiatrici stringono tra loro legami, alleanze, patti segreti e amicizie che avranno grandi influenze sul loro destino, tra dinamiche di accettazione e dolori soffocati dalle crudeltà della guerra dove non c’è posto per i veri sentimenti, soprattutto per l’amore, se non ben nascosti e custoditi.
La regia di Soldini isola ciò che è superfluo per portare in primo piano l’essenziale come i legami veri e le contraddizioni umane per un film che si distanzia dai soliti racconti di guerra che siamo abituati a vedere sul grande schermo, a favore di una storia che si concentra non dove avviene l’azione, ma dove si consuma il dramma dell’incertezza.
Cieli cupi e atmosfere cineree accompagnano inquadrature che suggeriscono sguardi su mondi che non vorremmo mai più attraversare, all’interno di cornici geometriche e forme squadrate che danno forma al rigore e alla nefandezza nazista. A contribuire una colonna sonora perfettamente aderente che, con profonde e pesanti incursioni nella trama, concorre alla resa della narrazione.
Le assaggiatrici ci porta in mondo sospeso dove è l’universo femminile a guidare e decidere le sorti di un’intera nazione, andando così a ribaltare i canoni legati alla narrazione di guerra grazie a una sceneggiatura che sa come valorizzare una storia straordinaria alternando momenti di alta tensione ad attimi maggiormente introspettivi, dando voce al dilemma interiore di cui si fa portatrice.