Le otto montagne: incontro con i registi Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch e gli interpreti Alessandro Borghi e Luca Marinelli a Cannes 75
Non si tratta della prima volta in cui Felix van Groeningen realizza una pellicola sullo stretto rapporto affettivo che intercorre tra due uomini ma, si tratta della prima volta in cui realizza un lungometraggio insieme a Charlotte Vandermeersch. Van Groeningen non saprebbe spiegare i motivi per cui è stato sempre attratto da storie di amicizia che si sviluppano nel corso di una vita ma Charlotte Vandermeersch sa descrivere esattamente che cosa ha toccato in lei la storia scritta da Paolo Cognetti, al punto da decidere di trarne un adattamento cinematografico.
“Quello che ho particolarmente amato della storia – racconta la regista – è che si tratta di un rapporto molto tenero, di una profonda amicizia. Abbiamo realizzato un film intero sulla fragilità, è un’ode alla fragilità e alla forza intrinseca che essa racchiude, soprattutto in questa amicizia tra i due uomini. Non penso che sia rilevante il sesso, che fossero uomini o donne poco importa, mi ci sono molto rivista e ho apprezzato il lato di grande rispetto reciproco che questi due personaggi hanno nei confronti l’uno dell’altro; anche quando non trovano le parole giuste per confortarsi, sono comunque molto rispettosi degli spazi altrui. Non c’è competizione e abbiamo amato questi personaggi puri e onesti, seguiamo la loro vita da quando hanno undici anni, poi ne perdiamo le tracce, poi li ritroviamo negli anni della maturità. È una storia epica, riesce a toccare tutte le principali tappe della vita e ci siamo sentiti coinvolti in prima persona nella storia, quando stavamo scrivendo ed in seguito girando il film. Ci ha portati a riflettere sull’amore, sull’amicizia, sulla famiglia e sul destino, sull’accettazione della vita e della morte. Per noi è stato un viaggio fondamentale.”
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Felix procede a raccontare come tutto è iniziato, come è entrato in contatto con il libro e come le idee sulla trasposizione sul grande schermo fossero ben delineate fin da subito: “Ho letto il libro tre anni fa e, al tempo, incontrai un produttore italiano, era chiaro che il film avrebbe dovuto essere girato in Italia. L’idea è stata accolta con entusiasmo e immediatamente ci siamo dedicati alla scrittura della sceneggiatura: tutto è subito andato al posto giusto, ogni tassello si è incastrato. È stata un’esperienza meravigliosa perché volevamo realizzare questo progetto in Italia e girare il film in italiano per scoprire parti di mondo che ancora non conoscevamo bene, per conoscere attori con cui non avevamo ancora lavorato e semplicemente per immergerci nella storia. Anche se i nomi di questi attori sono spuntati fuori quasi automaticamente – sono certamente gli attori più talentuosi della loro generazione – ci siamo presi il nostro tempo per scrivere, per portare avanti il processo di casting, per trovare la giusta strada. Abbiamo dovuto approcciarci ad una nuova lingua e ad un nuovo contesto.”
“Prima di iniziare le riprese – aggiunge Charlotte – abbiamo fatto un viaggio in Italia in camper, ci siamo portati il sole dietro per poter iniziare a lavorare sul film. Ci siamo immersi in questa comunità e avvicinarci al linguaggio è stato fondamentale: ogni luogo del film è stato attentamente studiato, prima di sceglierlo ci siamo recati molte volte a visitarlo. Siamo arrivati fino ai ghiacciai, abbiamo scalato le montagne dell’Himalaya, è stato un vero e proprio viaggio.”
Alessandro Borghi e Luca Marinelli tornano quindi ad indossare i panni di due migliori amici, a distanza di qualche anno dall’uscita di Non essere cattivo di Claudio Caligari; l’aver già interpretato ruoli molto vicini ha contribuito ad entrare nei personaggi di Bruno e Pietro e, come spiega Borghi, entrambi gli attori sono riusciti a fare tesoro di tutta l’esperienza precedente a questo ruolo. “Avevamo già girato insieme il film Non essere cattivo, ormai sette anni fa, un film molto importante per noi. Pensare a questo progetto in collegamento al film di Caligari forse fa emergere alcune somiglianze tra i personaggi di Bruno e Pietro e quelli di Vittorio e Cesare. Hanno qualcosa in comune, soprattutto nei tratti emotivi e caratteriali. Sono davvero legato a quest’uomo – dice indicando Marinelli – ed è stato facile per me entrare nel personaggio perché non devo fingere di volergli bene, non devo recitare in quel senso e questa è un’ottima premessa per lavorare insieme. Ogni volta che mi ritrovo ad interpretare un ruolo cerco sempre un fondo di verità, per questo è stato facile nel caso de Le otto montagne. I registi del film ci hanno aiutato molto e lo stesso hanno fatto le montagne, che, nella mia mente, sono state fin dall’inizio del film il centro della storia. Abbiamo avuto occasione di restare sulle montagne e di viverle a fondo, con la supervisione della guida straordinaria che è stato Paolo Cognetti.”
Marinelli sembra essere d’accordo con il collega (e amico) di ormai vecchia data. “Avevamo un rapporto di amicizia prima del film e abbiamo usato questo filtro per creare un’altra amicizia, sullo schermo, tra Pietro e Bruno. È stato facile ma abbiamo dovuto interpretare due personaggi completamente diversi da quello che siamo noi. In un certo senso è stato semplice, abbiamo affrontato questo processo mano nella mano come avevamo fatto sette anni fa – nonostante per tutto questo tempo ci fossimo allontanati dal punto di vista professionale, lavorativo. Ci siamo ritrovati dopo tutto questo tempo e sono stati otto mesi di lavorazione davvero intensi.”
📸 Instantané #Photocall – Photocall instant
LES HUIT MONTAGNES – (THE EIGHT MOUNTAINS)
by Felix VAN GROENINGEN, Charlotte VANDERMEERSCH#Cannes2022 #Competition pic.twitter.com/VGejAbb55H— Festival de Cannes (@Festival_Cannes) May 19, 2022
Borghi continua a raccontare la sua esperienza sul set de Le otto montagne, spiegando che, per quanto la vita reale e la vita raccontata nel film fossero molto unite durante i mesi delle riprese, ha sempre sentito il bisogno di separare i due aspetti, quello privato e quello professionale. “Per quanto mi riguarda, devo sempre dividere e separare la vita reale dal personaggio che interpreto. A volte arriva ad essere molto confusionario unire le due cose. In Italia, alla fine di una giornata lavorativa, dobbiamo andare in banca, dobbiamo fare commissioni, non è proprio possibile restare nel personaggio, abbiamo una vita! (ride) è stato un viaggio incredibile, pieno di amore e fiducia e non sono mai stato ossessionato dal pensiero di che cosa dovessi fare o quanto mi dovessi sforzare per rendere credibile la mia performance. Si è sempre trattato di fare le cose e non, alla fine, di interpretarle così tanto. Non abbiamo parlato in modo eccessivo dei personaggi, non ci siamo mai seduti ad un tavolo per programmare punto per punto come avremmo dovuto impersonare i nostri ruoli, ci è stata lasciata molta libertà d’azione e ogni volta che avevamo una proposta o una modifica venivamo incoraggiati a seguire questa strada per vedere come funzionava. Se si trattava di un qualcosa che poteva incastrarsi bene con la storia, allora poteva rimanere nel film, altrimenti la scena veniva girata in modo diverso. Si è trattata di una scoperta continua, in totale libertà, grazie alla fiducia che è stata in noi riposta fin dall’inizio. Sicuramente è un aspetto fondamentale per poter svolgere bene il mestiere dell’attore, ho avuto il privilegio di poter lavorare con una squadra straordinaria. Alla fine delle riprese mi sono sentito come se volessi continuare a girare per altri due anni, siamo diventati una famiglia ed ho solo ricordi positivi di questa esperienza. Ho sentito la necessità di raccontare la storia ed ho cercato di farlo nel migliore dei modi possibili.”