Le otto montagne recensione film di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch con Alessandro Borghi, Luca Marinelli e Filippo Timi
Un adattamento perfetto
Le otto montagne è soprattutto un grande adattamento del romanzo best seller in mezza Europa di Paolo Cognetti. Sembra un risultato da poco, ma non lo è affatto e dimostra la grande sensibilità dei registi belga Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, che guidano una produzione davvero attenta al materiale originale. Non è solo una questione di luoghi, volti e accenti, quanto piuttosto di atmosfere e toni: in questo il duo belga coglie perfettamente la sensazione che dà la lettura del romanzo, quel senso di austerità e rigore che traspare dalle pagine di Cognetti.
D’altronde la filmografia di Felix van Groeningen, sia nelle produzioni europee sia nell’hollywoodiano Beautiful Boy, da sempre sembra tendere verso i territori di un dolore inestinguibile a livello spirituale che consuma un duo di protagonisti, per azione diretta o per silenziosa testimonianza del dolore di una persona cara. La storia di amicizia decennale tra due ragazzi “che appartengono a montagne diverse” sembrava destinata dall’inizio a venire adattata in questo modo. Invece era tutt’altro che scontato e questo è un grande complimento per un adattamento cinematografico.
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Elegia alpina
Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch si prendono tutto il tempo per definire nella sua complessità la relazione tra Bruno (Alessandro Borghi) e Pietro (Luca Marinelli): più di un’amicizia, più di una fratellanza, quasi una pulsione sentimentale che non corona mai nell’atto vero e proprio, permeata da un’attrazione mai sublimata. Ancora ragazzini, i due si conoscono a Grana, un minuscolo paesino delle montagne valdostane. Pietro è un ragazzo di città che trascorre in una casetta in affitto le proprie vacanze estive, Bruno è l’unico adolescente del paese e già bada alle vacche e aiuta lo zio a fare il formaggio.
L’amicizia tra i due nasce e prosegue per anni in questo modo, alternandosi con le stagioni: estati di libertà sconfinata sulle Alpi e uggiosi inverni cittadini, lugubri. Dentro ciascuno dei ragazzi è radicata la montagna, ma in modi differenti. Da adulto Pietro diventa inquieto, vagabondo, alla ricerca delle sue montagne. Si allontana dal padre, cerca la felicità in Nepal. Bruno per lui è un solido punto fermo, tanto inamovibile dalle Alpi quanto Grana. Un luogo e una persona a cui tornare nei momenti di difficoltà, per ritrovare l’equilibrio.
Scoprirà poi che il ragazzo è diventato un solido riferimento anche per i suoi genitori e in particolare il padre. Una consapevolezza che tingerà il rapporto con Bruno di rimpianto, di gelosia verso quel non-figlio in grado di capire meglio di lui il padre e i suoi sentimenti. La solidità di Bruno però è solo apparente, il suo legame con la montagna si fa ossessivo: non riesce più a immaginarsi lontana da essa, non vuole piegarsi a un rapporto con la natura che sia mediato dalla modernità, da quel concetto di natura astratto e mediato che tanto disprezza tra i “cittadini”. Gli equilibri tra i due cambiano, mentre il loro rapporto sempre vivo, anche nell’assenza e nella lontananza. Rimarrà una delle pochissime costanti della loro vita. Per entrambi la montagna è una parte essenziale dell’esistenza, anche se vissuta in modo differente: per Bruno e Pietro l’altro fa parte di quel concetto di montagna.
Con la sua regia fatta di silenzi alpini, di un formato che esalta l’altezza e la solennità delle vette e di riprese “vecchia maniera” (con elicottero, non droni) mentre i protagonisti corrono e si arrampicano sulle creste, Le otto montagne coglie perfettamente i non detti esistenziali che ancorano ma anche impacciano questa grande storia di amicizia. Il film non riesce a ovviare ai difetti del romanzo, in primis l’assoluta irrilevanza delle figure femminili, ma sicuramente ne esalta i punti di forza. Tra i due protagonisti, convince un po’ a sorpresa molto di più Alessandro Borghi nella parte dell’“uomo selvaggio” mentre la stella di Luca Marinelli sembra un po’ appannata, le sue interpretazioni recenti meno convincenti.