Le vele scarlatte (L’envol) recensione film di Pietro Marcello con Louis Garrel, Noémie Lvovsky, Juliette Jouan, Yolande Moreau e Ernst Umhauer
Pietro Marcello si ferma all’estetica
Dopo Martin Eden era lecito aspettarsi molto da Pietro Marcello: con quel film aveva saputo conquistare e convincere la critica internazionale, accreditandosi come uno dei nomi italiani da tenere d’occhio a livello autoriale e festivaliero. Adattamento dell’omonimo romanzo di Alexandre Grine, sulla carta Le vele scarlatte ha molto in comune con il suo predecessore, a partire dalla sua fonte letteraria. Purtroppo però la pellicola si rivela un deciso passo indietro per il cineasta, che delude riproponendo gli errori e i vizi di molto cinema autoriale italiano degli ultimi decenni.
Difficile vedere questo film e non pensare a Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, al Pinocchio di Garrone, tornando su su fino a quello che si potrebbe considerare l’antesignano incolpevole di questa esaltazione continua dei “bei tempi di una volta”, di un bucolico esasperato e talvolta superficiale: il cinema di Bernardo Bertolucci.
Quei contrasti tra città e campagna, tra vita frenetica della metropoli e lenti cicli naturali avevano tutt’altra forza negli anni ‘60 e ‘70, in cui l’Italia visse una forte industrializzazione, da paese legato all’economia agricola che era nel dopoguerra. Riproporre però questa visione in cui la tecnologia (persino l’elettricità!) sembra portatrice di disumanizzazione e crudeltà nel 2022, senza alcun tipo di aggiornamento o evoluzione, suona persino un po’ snobista, oltre che superficiale.
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L’estetica senza la sostanza
Le immagini di Marcello sono al solito bellissime: volti rubati dai quadri impressionisti sulla vita dei contadini, delicate luci del tramonto, un formato che ricorda un po’ il Super8, con gli angoli arrotondati. La città fa capolino in un paio di clip documentaristiche, in alcune scene in cui ci viene ricordato che “i bambini oggi sognano giocattoli elettrici”.
Juliette (Juliette Jouan) è fortemente radicata nella “corte dei miracoli” in cui è cresciuta, insieme a una piccola comunità di persone considerate dei paria dagli abitanti del villaggio. A crescerla è stato un forestiero, un ex soldato rimasto zoppo durante la Prima Guerra Mondiale, molto versato come falegname. Juliette è figlia della donna che ha amato, ma non sua. Eppure lui la cresce teneramente, aiutandola a sviluppare il suo carattere indomito, la sua forza.
Oltre ai cicli della natura in L’envol i protagonisti lottano contro la ciclicità della storia, con figli che tendono a perpetrare e ripetere le colpe dei padri. Amante della musica e della natura, indipendente e fiera, Juliette dimostra di avere la forza di spezzare questi ricorsi, in attesa che “le vele rosse nel cielo” le aprano un nuovo mondo.
Marcello è tentato dal realismo magico, affiancando a Juliette una sorta di strega e dando alla ragazza tutta una serie di sensibilità particolari, ma poi si dimostra molto timido a riguardo. È un peccato, perché la storia si basa su un avvenimento predetto che sappiamo si avvererà sul finale e sulla lunga attesa fatta di lunghe sequenze di canto, di scene riempite solo dall’ora dorata del tramonto e da qualche impacciato tentativo di rendere il film femminista.
Tutta questa attenzione al versante femminile dopo una certa trascuratezza dimostrata in questo senso in Martin Eden sarebbe anche una buona notizia, non fosse che le istanze di L’envol sono inserite così forzatamente che si può sentire il rumore di quanti e quante ne faranno degli screenshot con cui decorare il proprio profilo Twitter.
È questo il problema di Le vele scarlatte: affronta le sue istanze sociali in maniera così semplicistica e concentrata sull’estetica da romanticizzare perfino una figlia che deve andare a implorare per far lavorare il padre e sopravvivere. Non a caso citavamo Pinocchio: L’envol sembra quasi rimpiangere l’altruismo sconfinato e quasi martire di Geppetto, la vita di stenti che conduce lontano dalla città. Collodi però scriveva nel 1883 e non ha mai mancato di sottolineare la durezza della vita degli ultimi. Difficile capire perché non si riesca a fare di meglio nel 2022.