Lettera a Franco recensione film di Alejandro Amenábar con Karra Elejalde, Eduard Fernández, Santi Prego, Carlos Serrano-Clark e Nathalie Poza
Già vincitore di cinque premi Goya, arriva nelle sale italiane Lettera a Franco, titolo originale Mientras dure la guerra. Scritto e diretto da Alejandro Amenábar, regista di lavori come The Others, Mare dentro e Apri gli occhi, e distribuito da Movies Inspired.
Spagna, estate 1936. Francisco Franco, El Caudillo, inizia l’ascesa a leader dei nazionalisti. La guerra civile porta al crollo della Repubblica, guidata del Fronte Popolare di ispirazione marxista.
Il famoso scrittore e filosofo Miguel de Unamuno, che incarna il punto di vista interno della storia, decide di sostenere apertamente la ribellione militare che promette di riportare ordine nella situazione del Paese, attraversato dalla rivoluzione socialista.
A fronte di tale scelta però, viene immediatamente rimosso dal governo repubblicano dalla carica di rettore dell’Università di Salamanca.
Lo scrittore, durante quei primi drammatici mesi di guerra civile, prende coscienza della tragica realtà dei fatti, e fatica sempre più a mantenersi dalla parte del regime, soprattutto quando vede arrestati e giustiziati senza processo i suoi migliori amici.
Per comprendere l’atteggiamento politico dello scrittore, apparentemente incoerente, bisogna capire che l’io in rivolta di Unamuno è un io in sostanza infantile, aggrappato alle proprie ragioni, davanti alle quali preferirebbe dare torto al mondo intero, piuttosto che a se stesso: “Io non voglio lasciarmi incasellare, perché io, Miguel de Unamuno, come ogni altro uomo che tende alla piena coscienza, costituisco una specie unica.”
Quando Unamuno incontra Franco e la moglie – fervente cattolica – a Salamanca, nella giornata dedicata alla razza, si raggiunge il momento cruciale e più alto del film, per le parole di profonda dignità e di valore morale declamate da Unamuno davanti a un pubblico venduto e succube del regime, composto da militari, generali, e intellettuali. “Questo è il mio tempio!”, urla con rabbia tra le mura di quell’università che per oltre trent’anni era stata il suo regno.
Il poeta si lancia dunque in un j’accuse che lo porterà ad un definitivo allontanamento dall’Università e da ogni incarico ufficiale.
Lettera a Franco è un progetto impeccabile, una perfetta ricostruzione storica sotto ogni dettaglio, anche musicale, con gli inquietanti inni militari che risuonano per le vie di Salamanca sotto assedio.
Quello che arriva al cuore però, oltre la limpida ricostruzione storica delle vicende è ben poco. Quando Unamuno cade per la strada in preda ad un attacco cardiaco, non sentiamo alcun fremito, né tantomeno siamo in tensione per la sua sorte durante il discorso conclusivo davanti ai vertici del regime.
I profili psicologici restano di superficie, lo spettatore resta distaccato dalle vicende dei personaggi, che scorrono davanti ai suoi occhi come una macchina forse troppo perfetta.
Anche il personaggio del generale José Millán-Astray – fondatore e primo comandante della Legión Española – entrato in scena in modo magistrale, con il suo macabro vezzo di mostrare l’oscena voragine che sostituisce l’occhio perduto in battaglia, svanisce presto nell’anonimato.
Alejandro Amenábar dirige un ritratto storico magistrale e dall’approccio documentaristico fedele, ma senza le corde del cuore.