Lezioni di persiano recensione film di Vadim Perelman con Nahuel Pérez Biscayart, Lars Eidinger, Jonas Nay, Leonie Benesch e Luisa-Céline Gaffron
Sotto la regia di Vadim Perelman, regista ucraino naturalizzato canadese noto per il suo esordio con La casa di sabbia e nebbia, distribuito da DreamWorks, prende vita Lezioni di persiano, una tragedia franco-tedesca che adotta una nuova chiave di lettura per affrontare il tema delle deportazioni naziste durante la Seconda Guerra Mondiale.
Basato sul racconto di Wolfgang Kohlhaase, Erfindung einer Sprache (Invenzione di una lingua), il film segue le vicende di un campo di transito tra la Francia e la Germania il cui ufficiale responsabile delle cucine, Koch (Lars Eidinger), sogna di aprire un ristorante di cucina tedesca in Iran una volta finita la guerra; per poter realizzare il suo progetto ha bisogno di imparare la lingua del luogo, il farsi, e sarà aiutato da Gilles (Nahuel Pérez Biscayart), ebreo che finge di essere persiano per salvarsi la vita. Quanto a lungo potrà funzionare questa sua bugia?
L’opera, come tutte quelle che affrontano questo particolare tema, è grave e cruda in alcuni suoi punti perché cerca di riprodurre nella maniera più fedele possibile la vita nei campi di concentramento, ma, come raramente si vede, mostra anche il lato umano di tutti i suoi protagonisti, compresi i soldati tedeschi, che siamo più abituati a vedere nei panni di robot senza emozioni che gridano ordini atroci.
L’umanizzazione dei personaggi avviene attraverso rappresentazioni di piccole storie d’amore tra i soldati e la gelosia e la vendetta che da esse scaturiscono, ma soprattutto attraverso il rapporto tra il personaggio di Koch e il suo insegnante/prigioniero Gilles: è una relazione complicata, basata sull’interesse reciproco – poiché Gilles acquisirà dei privilegi e Koch apprenderà qualcosa che gli sarà utile nel futuro – ma che a volte va molto più a fondo e svela un animo gentile nell’ufficiale tedesco e approfittatore nel prigioniero.
Quasi a comporre un peculiare plot twist verso la fine, l’opera si conclude con un tributo alla memoria: i registri con i nomi degli ebrei, infatti, erano stati bruciati prima dell’arrivo delle truppe americane, ma Gilles, che per inventare le parole in farsi aveva preso spunto dagli archivi, li ricorda tutti alla perfezione, rimasti incisi nel suo animo proprio grazie alla sua particolare esperienza.