Life Finds a Way recensione film di Hirobumi Watanabe con Hirobumi Watanabe, Takanori Kurosaki, Marika Matsumoto, Minori Hagiwara, Yako Koga, Sakiko Kato e Honoka
Nel corso degli anni Hirobumi Watanabe si è spinto a filmare qualsiasi cosa gli sembrasse anche minimamente interessante. Osservare, imprimere digitalmente, lasciare che il vento faccia il proprio e non perdersene nemmeno un minuto. Poco importa che si tratti di bambini o allevatori di maiali, fuori c’è sempre un mondo da scoprire e che non aspetta altro di diventare cinema.
Con Life Finds a Way, presentato al Far East Film Festival, il regista giapponese porta la sua libertà creativa ad un livello ancora più alto, offrendo sprazzi del percorso che gli consentono di trovare la materia delle proprie opere. Non si tratta di metafore e perifrasi sulla creazione artistica, ma sulla questua del regista comune alla disperata ricerca di fondi per realizzare qualcosa rivisitata in chiave comica. Istituzione dopo istituzione, porta in faccia dopo porta in faccia, il regista auto-interpretato dallo stesso Watanabe percorre un viaggio che diventa sempre più importante della meta man mano che scorrono i minuti.
Filmare qualsiasi cosa in qualsiasi modo, lasciando da parte struttura e sceneggiatura, trasforma il quinto film di questo autore in una specie di romanzo ottocentesco nel quale la vita fluisce copiosa e senza argini fino a sfociare in una enciclopedia personale e quotidiana in cui si può intravedere di tutto facendo attenzione. La vita che trova la propria strada riassume per lo spettatore il contenuto di questo film e se non ci fossero state limitazioni tecniche, formali o economiche, la durata sarebbe probabilmente aumentata a dismisura senza cambiarne in alcun modo il senso nel suo complesso.
Hirobumi Watanabe continua a presentarsi come un regista capace di trovare qualcosa da dire in qualunque situazioni sguazzi, critica o ordinaria che sia, con una padronanza della camera capace di rivelare il segreto della normalità.