Lost Girl recensione film di Natalya Kudryashova con Anastasiya Krasovskaya, Yura Borisov e Darius Gumauskas
Lera e Gerda sono due facce della stessa medaglia. Lera è la ragazza silenziosa e introversa che studia sociologia e si occupa della madre mentre Gerda è il suo alter ego notturno, lavora in un night club e con i soldi che guadagna si paga la rispettabile (?) vita di facciata che conduce. Ogni notte, nei sogni, uno spirito fa visita a Lera e più la sua vita si complica più lo spirito le appare fino a palesarsi nel mondo dei vivi.
La doppia identità è un tema comune alla settimana arte, a volte celata e sottintesa, altre esplicita e sfacciata. In questo caso è necessità. Le due identità si compensano e si supportano fino a diventare un’entità unica, capace di traslare nei sogni facendo in modo di sopportare la penosa esistenza terrena ma proiettando una sublime esistenza divina.
Lera è responsabile ma troppo giovane per esserlo. Ennesima storia di periferia malfamata e spiantata, dove l’unico scopo sembra rimanere vivi a fine giornata. Una periferia anche esistenziale in cui i sogni svaniscono all’imbrunire e sembrano così lontani da essere irraggiungibili. La protagonista prova a crederci ma lentamente il suo stato d’animo muta e la speranza forse lascia il posto alla disperazione.
Lost Girl di Natalya Kudryashova è uno sguardo reale in quei destini sempre poco raccontati di ragazze perdute, spesso irrecuperabili. Lo fa attraverso una pellicola sì intima ma anche e soprattutto artistica. Inizialmente si fa fatica ad entrare nella narrazione ma il meticoloso lavoro della Kudryashova e l’ottima interpretazione della giovane Anastasiya Krasovskaya, capace di caricarsi sulle spalle l’intera pellicola, trasformano il film in un racconto coinvolgente e sentito.
La fotografia gioca molto, e bene, con l’utilizzo di colori forti e contrastanti. Se le scene notturne, nel club e per strada, così come nelle case dei clienti che le ingaggiano sono valorizzate da colori tenui e caldi, nelle scene di giorno, a casa, l’utilizzo di palette fredde e cupe crea un contrasto così netto che è facile intuire quello che la regista sembra volerci dire: il lavoro che fa, per quanto degradante, è per Lera necessario per evadere da una vita infelice.
Natalya Kudryashova regala il suo sguardo su una realtà amara e difficile. Lera è eroina anticonvenzionale con l’innato coraggio di lottare per la sua libertà, con i pochi strumenti che il mondo sporco la vita le mette a disposizione. Seppure lento in alcuni passaggi e difficile da comprendere per lo sguardo artistico ricco di simbolismi, possiede una potente carica di sottile tensione che alimenta l’attenzione.