Lupin recensione serie TV di George Kay con Omar Sy, Ludivine Sagnier, Clotilde Hesme, Hervé Pierre, Shirine Boutella, Antoine Gouy e Vincent Garanger
Tu mi hai visto, ma non mi hai guardato.
(Omar Sy in Lupin)
Seconda serie Netflix più vista di sempre con 70 milioni di spettatori durante il primo mese di visione, seconda soltanto al The Witcher di Henry Cavill, l’opera di George Kay (Criminal) scritta in collaborazione con François Uzan e diretta anche da Louis Leterrier (L’incredibile Hulk, Scontro tra titani, Now You See Me) esalta l’indiscutibile talento di Omar Sy in una produzione estremamente cinematografica dedicata al ladro gentiluomo nato dalla penna di Maurice Leblanc, offrendoci una versione di Arsène Lupin intensa e coraggiosa, che vede il protagonista dai molti talenti Assane – simpatica assonanza con Arsène – intento a vendicare l’ingiustizia subita dal padre Babakar (Fargass Assandé) e a riabilitarne il nome, avverso la facoltosa e potentissima famiglia Pellegrini il cui passato nasconde più di qualche misfatto perpetrato con cieca avidità.
Lupin è costruita come una revenge story a tutti gli effetti, che se da un lato nei primi cinque episodi racchiusi nella raccolta Dans l’ombre d’Arsène segue un unico filone narrativo interrompendosi sul più bello, dall’altro delizia gli appassionati con costanti riferimenti alle opere di Maurice Leblanc, come i romanzi Arsenio Lupin e la collana della regina, L’evasione di Arsenio Lupin, Arsenio Lupin e il sette di cuori, Arsenio Lupin e il viaggiatore misterioso e Arsenio Lupin e il segreto della guglia.
In ricordo del Congo belga!
(Omar Sy in Lupin)
George Kay mette in scena una serie spettacolare e ricca di humour, pagando inevitabilmente un piccolo tributo a Monkey Punch nel mostrare un Lupin divertente, affabulatore, malcelatamente donnaiolo e via via lungo il prosieguo della storia sempre più inafferrabile, ineguagliabile ed in definitiva un po’ magico, infrangendo la soglia dell’incredulità a favore dell’incredibile.
Nell’esaltare il merito, lo spirito, lo stile ed il talento della creatura letteraria di Maurice Leblanc impersonata in Omar Sy, Lupin riesce con intelligenza ad essere attuale nel condannare la discriminazione razziale e di genere senza rinunciare ad un intrattenimento spensierato, sia attraverso le origini ed il colore della pelle del suo protagonista – che hanno messo ancora una volta a nudo, purtroppo anche in Italia, l’odio razziale perpetrato da sparute minoranze di odiatori attraverso quelle zone franche che ancora oggi rappresentano i social network nonostante tutti i segnali di pericolosità registrati – sia attraverso l’ottimo personaggio femminile interpretato da Anne Benoît, la fiera, onesta e cocciuta reporter Fabienne Beriot, che ad Assane ricorda tanto il padre Babakar.
Se sei una donna, hai la mia età e i miei modi, la decisione è facile: spazzatura.
(Anne Benoît in Lupin)
Ma è proprio il quarto episodio, nonostante la presenza del personaggio della Benoît, a mettere a nudo inattese fragilità nella scrittura dimostrandosi il più debole della cinquina proposta da Lupin: Dans l’ombre d’Arsène, pasticciando con l’uso e la disponibilità della tecnologia tra passato e presente e mettendo in scena un’inverosimile débâcle di Lupin, a causa di una prova decisiva registrata su nastro VHS che viene smarrita dal nostro protagonista nel più ingenuo ed improbabile dei modi.
Tra citazioni letterarie e cinematografiche – la Frau Blücher di Frankenstein Junior diventa Hubert Pellegrini (Hervé Pierre) per il cagnolino J’Accuse, omaggio inoltre ad Émile Zola – risate dovute anche alla clamorosa incapacità delle forze dell’ordine, botte, tensione, fascino, misteri e brani musicali avvolgenti come Meaning di Cascadeur, il talento trascinante di Omar Sy ci accompagna in una serie che ha saputo con intelligenza rinnovare il mito di Lupin, in attesa dei nuovi episodi della prima stagione.