Mai raramente a volte sempre recensione film di Eliza Hittman con Sidney Flanigan, Talia Ryder, Théodore Pellerin, Ryan Eggold, Drew Seltzer e Ryan Eggold
Mai raramente a volte sempre, emozionante e profonda odissea nel silenzio
Dopo i brindisi e i complimenti per la vittoria agli Oscar 2021 di Nomadland e con la lenta ma, speriamo, completa riapertura delle sale cinematografiche, ci si accorge di non aver dato la giusta attenzione a una delle migliori pellicole dell’anno passato: Mai raramente a volte sempre scritta e diretta da Eliza Hittman. Un film silenziosamente potente, capace di donare momenti di altissimo cinema e che ha ricevuto l’Orso d’Argento – Gran premio della giuria allo scorso Festival di Berlino 2020.
Autumn (Sidney Flanigan), diciassettenne di umili origini della periferia della Pennsylvania, si ritrova ad affrontare una gravidanza inattesa. L’unica persona su cui può contare veramente è sua cugina Skylar (Talia Ryder). Dopo essersi scontrata con la burocrazia che regola l’aborto nel suo stato, le due adolescenti decidono di partire per un viaggio verso le cliniche mediche di New York.
La sceneggiatura di Eliza Hittman è magistrale: ogni parola, ogni azione è sapientemente pesata, così come ogni incontro e luogo raccontano qualcosa. È importante ciò che viene narrato così come quello che la regista decide volutamente di tenere fuori, lasciando allo spettatore il compito di assimilare e comprendere, lentamente ed inesorabilmente. Il grosso bagaglio che le due giovani ragazze si portano dietro non è una semplice valigia: è un inevitabile simbolo del peso che grava sulle loro spalle. La scena che dà il nome al film è di una potenza visiva ed emotiva tale da lasciare senza fiato, racchiude al suo interno profonde verità, spiega tutti i silenzi.
Il merito va anche alle due attrici protagoniste Sidney Flanigan e Talia Ryder, qui al loro debutto assoluto. Sorreggono il film con interpretazioni che permettono di raccontare una storia difficile, attraverso semplici gesti e sguardi. Un casting azzeccatissimo, due personaggi che si completano in una relazione di rara profondità: insieme costituiscono il cuore della pellicola. Si aiutano, si supportano, si rispettano, vivono insieme un viaggio che le cambierà e segnerà, accompagnando lo spettatore nella loro personale odissea.
La regia è di altissimo livello, con camera a spalla e primi piani sui volti delle due protagoniste per coinvolgerci nel loro viaggio. Merito anche di Hélène Louvart, bravissima DOP francese, con una lunghissima carriera nel cinema indipendente europeo alle spalle ed un talento cristallino ancora una volta confermato. Girato con pellicola 16mm che nelle mani di Louvart assume una pasta unica, Mai raramente a volte sempre regala una visione estetica entusiasmante. In una New York per nulla appariscente, la macchina da presa non si perde tra gli altissimi grattacieli, ma anzi resta racchiusa in una giungla urbana, tra metropolitana e clinica. Uno sguardo implacabile che accentua i silenzi, lascia che i rumori della città entrino e avvolgano la scena, rendendo sempre più importante quel silenzio. Un’attenzione ai dettagli che permette alle più piccole azione di esprimersi, di urlare un dolore nascosto, di arricchire la visione e percepire le emozioni che la regista vuol trasmettere.
Eliza Hittman è una delle voci più interessanti del panorama americano e Mai raramente a volte sempre è uno dei migliori film della scorsa stagione. Con il suo lavoro la regista racconta storie che altrimenti rimarrebbero nascoste, portando sullo schermo realtà ed emozioni attraverso l’immagine, rappresentando in pieno quello per cui il cinema è nato.