Mainstream recensione film di Gia Coppola con Maya Hawke, Andrew Garfield, Nat Wolff, Jason Schwartzman, Alexa Demie e Johnny Knoxville
Nella sezione Orizzonti della 77esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia concorre Mainstream di Gia Coppola. La regista, nipote di Sofia Coppola, al suo secondo lungometraggio dopo Palo Alto, porta al Lido un racconto contemporaneo sotto diversi punti di vista: la cultura emergente tra i giovani, i personaggi ritratti, le scelte registiche e l’impostazione grafica. Ma contemporaneo non è sinonimo di bello.
La storia ha come protagonista Maya Hawke, anche lei figlia d’arte, che interpreta Frankie: adolescente in cerca del suo posto nel mondo e affascinata dalla regia, passa il suo tempo libero realizzando video con lo smartphone – che poi pubblica su YouTube – nei quali si scaglia contro benpensanti e narcisisti mettendo aspramente in discussione tutto ciò cui la gente imborghesita attribuisce superficialmente valore ed importanza.
La monotonia della sua vita, incastrata come barista in un cabaret nei pressi di Hollywood Boulevard a Los Angeles, si interrompe quando per caso finisce nell’inquadratura Link (ottima prova di Andrew Garfield) scatenando l’interesse spasmodico degli utenti online verso questo strano uomo, anticonformista e sopra le regole. Le discussioni agguerrite che nascono tra Frankie e Link diventano ben presto virali, permettendo ai due di raggiungere un’improvvisa e dirompente fama su Internet, grazie anche all’aiuto del migliore amico di Frankie, Jake (Nat Wolff).
Mainstream racconta come nell’era odierna sia cambiato il modo di emergere, di creare un business e di affrontare il periodo adolescenziale e come, allo stesso tempo, siano rimasti immutati i sentimenti dei ragazzi, tra insicurezze e disperato bisogno di accettazione.
Gia Coppola inserisce nel panorama cinematografico uno spaccato di cruda realtà che affligge i giovani, condannati davanti ad uno schermo a idolatrare persone senza talento, a giudicare gli altri e a diventare sempre più narcisi. I social media ci mettono nella condizione di nascondere la realtà dei fatti e a crearci un mondo idealizzato che molto spesso porta a un senso di inadeguatezza di massa, incapaci di distinguere il vero dal falso.
Se la trama di Mainstream non spicca per la sua originalità, le scelte narrative e di editing sono sicuramente fuori dagli schemi inserendo sul grande schermo tutti quegli elementi tipici dei dispositivi digitali e del linguaggio del Web. Emoticon, effetti pixel, asincronie tra video e audio e ritmi compulsivi tengono la presa sullo spettatore, non destando tuttavia particolare sorpresa o interesse verso questo desolante ritratto di contemporaneità.