Maldoror recensione film di Fabrice du Welz con Anthony Bajon, Alba Gaïa Bellugi, Alexis Manenti, Sergi López, Laurent Lucas e Béatrice Dalle
Fin dall’alba dei tempi, il cinema ha raccontato di poliziotti dare la caccia a spietati criminali e di come gli uomini di legge sono stati costretti a farsi giustizia privata quando vedevano il sistema poco collaborativo, per non dire corrotto.
Di questo narra in principio Maldoror, nuovo film di Fabrice du Welz presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, di ritorno al festival dopo Vinyan, fuori concorso nel 2008.
In Maldoror seguiamo le vicende di Paul Chartier, un giovane poliziotto tutto d’un pezzo (quasi un “prototipo” di quei commissari o semplici agenti di polizia che hanno imperversato nel cinema di genere europeo e statunitense) alle prese con un’indagine complicata: rintracciare un criminale noto per aver rapito e violentato bambine e ragazze.
Purtroppo si scontrerà contro chi dovrebbe aiutarlo (colleghi e sistema), ma le cattive notizie non sembrano voler terminare.
Il caso da risolvere ben presto lascerà piede alla cornice storica, una nazione (il Belgio) arretrata e con il passare del tempo (le vicende narrate si dipanano nel corso di diversi anni) sempre più incattivita.
Un popolo barbaro e per certi versi brutale, senza regole o remore.
Nonostante sia poco giustificabile andare al di là della legge e superare i confini tra il bene e il male, al nostro protagonista non rimarrà nient’altro da fare. Per far trionfare la giustizia sarà costretto ad usare ogni arma a disposizione, anche la violenza se serve.
Un poliziotto vittima degli eventi, diventato giustiziere feroce che senza scrupoli tenta di smascherare la criminalità; tutto ciò è ben descritto da du Welz sia nella caratterizzazione del personaggio, ben interpretato da Anthony Bajon, sia nel compimento su schermo.
Sebbene questa caccia al topo sia ottimamente messa in scena nonché ben analizzata in fase di sceneggiatura, l’ultimo lungometraggio del regista di Calvaire soffre di un minutaggio mai coerente con quanto viene mostrato: troppe sequenze sanno di riempitivi per allungare la narrazione che non riesce a focalizzarsi sulle fasi salienti.
Va bene voler descrivere in ogni minimo dettaglio ciò che successe in quegli anni, d’altronde Maldoror si basa su un fatto di cronaca vero anche se romanzato (il caso del Mostro di Marcinelle), ma in fase di montaggio bisognava dare un taglio affinché tutti i discorsi avessero un senso.
La narrazione volge poi verso l’epilogo in maniera stancante, sebbene il finale risollevi l’economia generale del racconto regalando una sequenza così rabbiosa da rimanere impressa nella memoria.
In buona sostanza Maldoror si rivela un thriller serrato e ricco d’azione, dove non mancano i momenti introspettivi e l’analisi di una nazione ad un passo dal baratro, con personaggi nevrotici e che hanno perso la propria identità. Il tutto coadiuvato da un contesto storico ben descritto.