Maledetto Modigliani recensione del docufilm diretto da Valeria Parisi e scritto da Arianna Marelli su soggetto di Didi Gnocchi
3D Produzioni e Nexo Digital, dopo ben otto collaborazioni in pochi anni e aver portato sul grande schermo artisti come Picasso, Gauguin e Klimt, celebrano i cento anni dalla morte di uno degli artisti italiani più famosi, internazionali e dibattuti mai esistiti: Amedeo “Maledetto” Modigliani, con il docufilm a lui dedicato, al cinema il 12-13-14 ottobre.
Ad accompagnare lo spettatore è Jeanne Hébuterne, ultima compagna e musa del pittore, che tramite le sue parole riesce a far emergere tutti i lati di Modigliani, da quello più strettamente artistico a quelli più intimi e segreti. La sua figura è trattata come se fosse fuori dalla dimensione temporale, così da poter alternare momenti vissuti da lei in prima persona con il suo amato a parti di approfondimento collocate anche prima del loro incontro, nel 1917, e dopo la sua morte, avvenuta due giorni dopo quella dell’artista, il 26 gennaio 1920.
Tutto ha inizio nel 1884 a Livorno, città che lo ha cullato e fatto scoprire l’amore per l’arte, ma luogo che subito lascia per trasferirsi dove il suo modo di essere possa essere accolto e non giudicato, Parigi. Queste due città, di cui ci vengono aperti i cancelli grazie alla regia di Parisi, descrivono perfettamente gli spigoli caratteriali ed emotivi del pittore: l’innocenza livornese ancora non trafitta dalle grandi guerre, la contraddizione novecentesca parigina piena di surrealismo e vizi bohème. Questo miscuglio ha dato vita ad uno stile netto, chiaro ed immediato nella pittura. I suoi famosi colli lunghi, i volti ovali e gli occhi vuoti provengono dall’unione dell’arte risorgimentale italiana con quella primitiva africana conosciuta da Picasso e il risultato finale è il tentativo di trovare un’anima sotto una maschera vacua e priva di significato.
Altre prospettive, insieme alle città, vengono utilizzate per arrivare al cuore della persona: le donne che lo hanno influenzato e ispirato maggiormente e ciò che di esterno, dalla sua morte fino ad oggi, ha riguardato la figura di Modigliani. Il docufilm fa conoscere, con una chiave di lettura particolare, come una poetessa russa, una scrittrice inglese femminista e una studentessa d’arte francese abbiano fatto parte della sua vita e abbiano contribuito attivamente a far diventare ciò che Modigliani è stato, sia fuori che dentro la tela, mentre dall’altro lato approfondisce la truffa delle statue livornesi, il perché sia stato uno degli artisti più emulati e falsificati di sempre e soprattutto perché oggi vengano comprati i suoi quadri a centosettanta milioni di euro mentre al tempo riceveva appena trenta franchi.
La parola maledetto, che dà il titolo al docufilm, è quella che lo descrive meglio, non solo per aver vissuto in un periodo dove l’innocenza romanzesca lasciava spazio ad un’oscurità fatta di eccessi distruttivi, ma anche perché una maledizione, la tubercolosi, lo ha segnato fin da piccolo e lo ha portato via a soli trentacinque anni. Maledetto perché è stato un uomo fragile che ha cercato di trasformare le sue crepe in pura bellezza e che ha deciso di vivere al massimo la poca vita rimasta.
Maledetto Modigliani ha il coraggio di non concentrarsi su aspetti marginali e superficiali, ma regala un’ampia veduta su ogni punto di vista che analizza. Non si limita solo ad informare tramite testimonianze di critici e storici, ma tramite una regia fluida con un ritmo incalzante e una sceneggiatura su più livelli regala un’esperienza diversa e appagante.