Mank recensione film Netflix di David Fincher con Gary Oldman, Lily Collins, Tuppence Middleton, Amanda Seyfried, Charles Dance, Arliss Howard e Tom Burke
La narrazione è un unico grande cerchio, è come una girella alla cannella, non è una linea dritta che punta all’uscita più vicina. Non si può cogliere l’intera vita di un uomo in sole due ore, il massimo che si può sperare è dare l’impressione di averlo fatto.
(Gary Oldman in Mank)
Con Mank David Fincher gira il suo Quarto potere della realizzazione di Quarto potere (Citizen Kane) di Orson Welles, uscito nel 1941 e considerato uno dei più grandi se non il più grande – secondo le classifiche di American Film Institute e BBC – film statunitense della storia del cinema.
Mank, incentrato sulla figura del drammaturgo, critico teatrale e sceneggiatore – per bisogno e capacità – Herman J. Mankiewicz viene assorbito dal contesto storico della crisi economica del 1929 – in seguito al crollo di Wall Street che impattò l’intera economia mondiale – e dalla realizzazione del debutto cinematografico del “genio della radio”, l’allora 25enne regista, interprete e produttore Orson Welles che ingaggiò Mankiewicz per scrivere il copione del film prodotto da RKO, nominato a 9 premi Oscar e vincitore di un’unica statuetta proprio alla migliore sceneggiatura originale di Mankiewicz, accreditata senza grande merito anche all’assolutista Welles.
– Sono un uomo finito Joe, lo sono ormai da anni.
– È la cosa migliore che tu abbia scritto.
(Gary Oldman e Tom Pelphrey in Mank)
Girato in un bianco e nero usurato dal tempo e strutturato, proprio come Quarto potere, in corposi flashback che ricostruiscono la figura di Mankiewicz negli aspetti personali – la “povera Sara“ (Tuppence Middleton) e gli affetti familiari, le amicizie, le frequentazioni – caratteriali – l’egocentrismo, la spocchia, la dipendenza dall’alcool e dal gioco d’azzardo – lavorativi – il clima che si respirava ad Hollywood e alla Metro Goldwyn Mayer in particolare, tra sale vuote a causa della depressione economica e tagli degli stipendi, la quotidianità degli sceneggiatori rivalutati dall’avvento del cinema sonoro che “ha bisogno di parole da onorare” tra boria, noia e necessità di fare “gioco di squadra” con la produzione e i rapporti con la neonata gilda di categoria – Mank si dimostra, come afferma l’editor John Houseman (Sam Troughton) in merito al copione di Quarto potere, una pellicola che chiede molto al pubblico cinematografico, finendo per rivolgersi ad una piccola parte di essi.
Mank si rivela infatti un’opera ostica e avara di emozioni, con rari picchi emozionali e abbastanza complicata da seguire, non prolissa ma un po’ povera di mordente, la cui più grave pecca è quella di non aver sfruttato l’onnipresente strumento del flashback a fini didascalici per dare spessore, caratterizzazione e significanza ai personaggi storici che ruotano attorno alla figura di Mankiewicz e che sono cruciali nella costruzione della visione del Citizen Kane di Orson Welles.
Nel cuore di Quarto potere: Sinclair, Mayer, Thalberg e Hearst
Se continui a dire cose false alle persone a voce alta e abbastanza a lungo è probabile che ci credano.
(Gary Oldman in Mank)
Pretendere che il pubblico abbia piena consapevolezza di figure come Upton Sinclair (Premio Pulitzer e autore di Petrolio!) e del suo attivismo politico improntato al socialismo, screditato durante le elezioni del Governatore della California del 1934 dalla macchina del fango propagandistica del padre-padrone repubblicano della MGM Louis B. Mayer e delle macchinazioni di quest’ultimo negli affari e nella politica, del brillante produttore Irving Thalberg, la cui figura viene forse tralasciata più di altre apparendo unicamente servo del potere rappresentato da Mayer, e del ricchissimo, potentissimo e tremendamente influente editore “spara letame” e politico membro del Congresso William Randolph Hearst, il Citizen Kane in persona su cui Quarto potere è basato, interpretato da Charles Dance e che ci viene raccontato più per immagini e monologhi del protagonista interpretato da Gary Oldman che non attraverso una caratterizzazione e un approfondimento del personaggio, appare francamente eccessivamente esigente e forse anche un po’ presuntuoso.
Dover attendere la fine della pellicola per scoprire che il “socialista” Hearst, innamorato solo di se stesso e del potere, mira a distruggere Upton Sinclair perché rappresenta tutto ciò che egli stesso era in giovinezza, sembra un po’ troppo poco per rivelare e mettere finalmente a nudo il cuore di Quarto potere, a fronte di una narrazione che per oltre due ore si mostra poco incisiva nel dare spessore alla stessa figura di Marion Davies (Amanda Seyfried, meno a fuoco rispetto ai ruoli ottimamente interpretati da Lily Collins e Tuppence Middleton) e lascia in secondo piano personaggi, contesti e azioni preziosi per comprendere meglio la genesi di Quarto potere, per crogiolarsi forse eccessivamente sulla vanità di Mankiewicz indugiando su situazioni pseudo-ironiche, alcoliche e di contorno.
Bandito dai nazisti e da Joseph Goebbels in persona per le sue scritture eversive contro il nazismo (ed il copione The Mad Dog of Europe mai portato sul grande schermo) e per aver aver salvato un intero villaggio di ebrei finanziandone la fuga negli USA, autore di Man of the World, Pranzo alle otto, L’idolo delle folle, The Pride of St. Louis e della prima scrittura de Il mago di Oz, Herman J. Mankiewicz era evidentemente nel cuore e nelle memorie del giornalista Jack Fincher, autore della sceneggiatura e defunto padre del regista David Fincher che, con Mank, porta sullo schermo un progetto intimo e personale, lontano dalla sua cinematografia e dal grande pubblico, imperfetto e asciutto, ma pur sempre prezioso, oggi forse più di ieri, nel ricordare l’importanza dell’indipendenza dell’informazione e della libertà di stampa contro il controllo della politica e la propaganda populista.
Le frasi di Mank
Ogni momento della mia vita è insidioso!
(Gary Oldman in Mank)
Come al solito ne esco come il più intelligente del gruppo.
(Gary Oldman in Mank)
– Mai mi hanno licenziato!
– Mai mi hanno non licenziato!
(Sam Troughton e Gary Oldman in Mank)
A me non interessa istruire i nostri spettatori. Vuoi mandare un messaggio? Chiama Western Union!
(Arliss Howard in Mank)
Mi sento sempre più un topo in una trappola costruita da me e che riparo ogni volta che si forma un’apertura che mi permetterebbe di scappare.
(Gary Oldman in Mank)