Matrix Resurrections recensione film di Lana Wachowski con Keanu Reeves, Carrie-Anne Moss, Yahya Abdul-Mateen II e Neil Patrick Harris
It is so much simpler to bury reality than it is to dispose of dreams.
(Don DeLillo, Americana in Matrix Resurrections)
Che ci fa una citazione di Don DeLillo in un piccolo ristorante frequentato da un imbolsito Thomas Anderson in una realtà tremendamente simile alla nostra? É una delle tanti chiavi di lettura disseminate in Matrix Resurrections che servono ad approcciarsi alla resurrezione del franchise operata da Lana Wachowski insieme a Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss – e non solo – per aggiornare un discorso interrottosi quasi vent’anni fa.
Forte di un impianto visivo e per certi versi filosofico che ha lasciato un segno importante nel pubblico dell’epoca, il nuovo capitolo della saga spinge sull’acceleratore della metanarrazione per giocare con i propri stilemi e fare i conti con un mondo che si è evoluto tanto nella realtà quanto nella finzione. Ancora una volta la realtà di Neo è stata seppellita nella Matrice, costruendogli una fittizia esistenza da game designer leggendario con problemi mentali. The Matrix diventa così un gioco pluripremiato, le pillole blu dei potenti psicofarmaci somministrati da un Analista (Neil Patrick Harris) e Trinity una donna sposata con figli da incontrare al bar giusto per un incrocio di fugaci sguardi.
É un’architettura estremamente curata e credibile, a prova di utente medio, ma destinata inevitabilmente a glitchare per mano di chi è tornato in possesso dei propri sogni grazie alle azioni dell’Eletto. La differenza sostanziale sta in un cambio delle fondamenta – per certi versi inevitabile – su cui poggia il codice. Se nella trilogia originale il discorso verteva sul risveglio della coscienza per essere informati di una realtà oltre la siepe, ora sono le persone a scegliere di vivere in una alternativa confortevole, comoda, binaria e online. Lana Wachoswki insiste tremendamente su questo aspetto con ogni possibile approccio, dal recast di alcuni personaggi chiave alla trasformazione di Zion in Io, decostruisce le sue stesse premesse per rimanere attaccata al mondo che aveva predetto con una certa accuratezza. Il film resuscita così se stesso e i suoi predecessori con una sofisticata alchimia di nostalgia, satira e critica sociale.
Quello che però viene meno è sicuramente è l’aspetto tecnico. Rimanendo in tema resurrezioni, questo nuovo capitolo non è altrettanto dirompente come i temi che affronta. Lo sforzo mentale che richiede non si sposa con una dimensione visiva appagante capace di tradurre in immagini e sensazioni concetti complessi. Non si tratta solo di bullet time o CGI estremamente deludente, ma dello spessore che l’armonia tra costumi, scenografie e tono avevano ottenuto insieme alle innovazioni cinematografiche. In Matrix Resurrections il focus sembra purtroppo essere altrove, spinto dall’urgenza di raccontare piuttosto che far vedere, lasciando la sensazione di aver operato un sacrificio consapevole ma opinabile.
Sarà che il film, come già successo ad esempio con Interstellar di Christopher Nolan, punta sull’amore come unica forza capace di rivoluzionare il mondo fuori e sullo schermo, unica forza pura capace di muovere macchine, rete ed esseri biologici. Si può filosofeggiare e riflettere a lungo sullo statuto di realtà eretta e decostruita, ma anche in questo caso non ci si può esimere dall’unico valore ancora detenuto dall’umanità. Non c’è da andare chissà quanto oltre, bisogna ripensare quello che al momento è dato per scontato.
Resta il fatto che il nuovo tassello di un franchise seminale sembra vittima di se stesso e delle sue aspirazioni, raggiunte e forse superate a livello tematico ma disattese sul versante prettamente cinematografico. Né bene né male, né zero né uno, Matrix Resurrections supera la binarietà rimanendo volontariamente sospeso nell’infinito mezzo che intercorre tra i suoi poli.