Addio a Max von Sydow: ricordiamo il grande attore svedese de Il settimo sigillo e L’esorcista, pupillo di Ingmar Bergman e candidato due volte al premio Oscar
L’uomo che giocava a scacchi con la Morte
Candidato due volte al premio Oscar, come miglior attore protagonista per Pelle alla conquista del mondo (Bille August, 1989) e come miglior attore non protagonista per Molto forte, incredibilmente vicino (Stephen Daldry, 2011), Max von Sydow ci ha lasciato l’8 marzo 2020 all’età di 90 anni. Ad annunciarlo è la moglie Catherine Brelet sul periodico francese Paris Match. Ripercorriamo assieme la sua lunga carriera.
Nato a Lund in Svezia il 10 aprile 1929, si approcciò al mondo dello spettacolo a partire dal 1948, quando si iscrisse alla scuola di recitazione del Kungliga Dramatiska Teatern (Teatro drammatico reale) di Stoccolma. In seguito lavorò per il Teatro Municipale di Norrköping-Linköping e fece il suo primo debutto nel mondo cinematografico interpretando piccoli ruoli in due importanti film di Alf Sjöberg, Solo una madre (Bara en mor, 1949) e La notte del piacere (Fröken Julie, 1951). Conseguito il diploma, recitò nei teatri stabili di Skåne e di Malmö, quest’ultimo diretto proprio da Ingmar Bergman.
Il suo primo ruolo di spicco nel cinema risale al 1957 quando, con Il settimo sigillo di Bergman, calò nei panni del giovane cavaliere crociato Antonius Block impegnato a fronteggiare la Morte in una lunga ed estenuante partita a scacchi. Il successo fu tale che in brevissimo tempo Sydow raggiunse la fama internazionale: complice anche il duraturo connubio con il regista assieme al quale lavorò per un lungo periodo recitando in ben altre sue undici produzioni. Tra queste vanno ricordate: Il posto delle fragole (Smultronstället, 1957), Alle soglie della vita (Nära livet, 1958), Il volto (Ansiktet, 1958), La fontana della vergine (Jungfrukällan, 1960), Come in uno specchio (Såsom i en spegel, 1961), Luci d’inverno (Nattvardsgästerna, 1963), L’ora del lupo (Vargtimmen, 1968), La vergogna (Skammen, 1968), Passione (En Passion, 1969), L’adultera (Beröringen, 1971) e un film destinato alla televisione intitolato Rabies (1958).
Nello stesso periodo lavorò anche per altri registi svedesi riuscendo ad acquisire sempre più notorietà e successo; elementi che gli permisero di varcare le porte di Hollywood a partire dal film La più grande storia mai raccontata (George Stevens, 1965) e di allontanarsi pian piano dalle produzioni svedesi e da Ingmar Bergman con cui c’erano state alcune discussioni.
Giunto in America, Max von Sydow decise di dedicarsi al cinema di genere. Interpretò numerosissimi ruoli tra i quali sicuramente lo ricordiamo vestito nei panni del sacerdote ne L’esorcista (William Friedkin, 1973) oppure quelli del killer in I tre giorni del Condor (Sydney Pollack, 1975).
Tra il 1976 e il 1977 fu attivo anche nel circuito cinematografico italiano, dove privilegiò le opere impegnate come Cadaveri eccellenti (Francesco Rosi, 1976), Cuore di cane (Alberto Lattuada, 1976), Il deserto dei Tartari (Valerio Zurlini, 1976), Gran bollito (Mauro Bolognini, 1977).
In seguito decise di esplorare il filone del fantastico lavorando per David Lynch in Dune (1984) e per Steven Spielberg nel film Minority Report (2002). Tra le sue ultime apparizioni va sicuramente ricordata la serie TV Game of Thrones, dove, per tre episodi, ricoprì il ruolo del Corvo con Tre Occhi (per i quali ottenne una nomination agli Emmy) e il settimo capitolo della fortunata saga di Star Wars.
La sua carriera l’ha relegato sempre ad interpretare ruoli tormentati e misteriosi, forse a causa dell’eredità raccolta da Bergman, oppure perché il suo volto scavato e la sua voce dal timbro profondo, misurata ed essenziale, si adattavano maggiormente a dei personaggi vissuti e consumati dal tempo; in ogni caso, proprio perché il suo ricordo non svanirà mai nel corso degli anni, siamo convinti che abbia vinto quella famosa partita a scacchi sulla spiaggia e che ora continui ad insegnarci una grande lezione di cinema.
Nicola