Megalopolis recensione film di Francis Ford Coppola con Adam Driver, Giancarlo Esposito, Nathalie Emmanuel, Aubrey Plaza e Shia LaBeouf
Il megalomane fallimento di Francis Ford Coppola. Meglio un titolo del genere per richiamare alla mente l’ultima colossale impresa di uno dei registi più importanti della storia del cinema. Budget mastodontico, risparmi di propria tasca per un’opera che non ha niente a che vedere con la trilogia de Il padrino (1972-), Apocalypse Now (1979) o Dracula di Bram Stocker (1992), capolavori indiscussi.
Megalopolis è un sogno nel cassetto in lavorazione da tanti anni. Per Coppola quel cassetto è stato aperto, per tutti gli altri chiuso con la chiave.
Megalopolis è la (ri)costruzione di una nuova città ambientata in un’America moderna, fantastica, con personaggi romani solo nel nome e nei vestiti latini, niente di più. La New Rome, per l’appunto, contestata da Cesar Catilina (Adam Driver) ‒ un architetto geniale che crede in un futuro utopistico in grado di fermare il tempo, forse anche quello di Coppola ‒ e Franklin Cicerone (Giancarlo Esposito), sindaco della città e tiranno spregiudicato che guarda caso fa della sua arte oratoria l’arma manipolatrice di una società corrotta.
A complicare i rapporti tra i due interviene la figlia del sindaco Julia (Nathalie Emmanuel) che si innamora di Cesar Catilina e si ritrova a decidere se appoggiare il padre o sperare in un futuro migliore per sé stessa, il suo amato e tutta l’umanità.
Le domande sono tante: che cos’è Megalopolis? Perché creare una città da capo? Che significato assume il film?
Strano a dirsi ma immaginare una città contemporanea, latina con feste a tema su ispirazione dell’antico Impero romano non è casuale. Dopotutto, l’Impero romano si è insediato ovunque, tutti ne sono a conoscenza e ne ammirano le meraviglie ancora in piedi dopo secoli di storia. Perché, dunque, paragonare l’Impero romano all’America più civilizzata, portando avanti le proprie guerre attenuandole con un lieto fine su una storia d’amore che mette la pace tra fazioni opposte? È la Nuova Roma l’America di Francis Ford Coppola, con tanto di vizi e dissolutezze messi in scena sullo stile di vita vanaglorioso, proprio megalomane per dirla con un sinonimo più adeguato.
È una polis altezzosa, lenta nel suo edificarsi e nell’auto-imporsi in una visione diversa agli occhi del suo regista che per lui funziona in maniera brillante ma in realtà tedia per tutta la durata della pellicola.
Diviso in capitoli come a riprendere la tecnica registica utilizzata da molti autori, separati da una sorta di monotona lettura di sermoni tragici con data romana ben in vista, Megalopolis si interroga sulla società contemporanea in cui viviamo, sull’esistenza di altre alternative valide per il cambiamento a cui il mondo per intero sta assistendo.
Coppola dirige un kolossal che parla di un declino dell’America, suo paese natale. Tuttavia, non lo fa solo con la sua cinepresa raccontando uno Stato modernizzato in fase degenerativa. Inserisce Roma, il modus vivendi dell’Impero che ha resistito, che è caduto ma vive ancora oggi. L’America è la New Rome, con le battaglie vinte e la tecnologia sempre all’avanguardia. Lo Stato americano nasce sulle fondamenta romane ma siamo pronti a pagarne le conseguenze?
Il regista pluripremiato ci ha provato con tutto sé stesso. Anni e anni tra ricerche, duro lavoro e finalmente la sua creazione che vede la luce. Peccato solo che quel grande sogno sul piano visivo ha chiuso gli occhi sul “È tutto troppo”.