Memory Box recensione film di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige con Rim Turki, Manal Issa, Paloma Vauthier, Clémence Sabbagh e Hassan Akil
Il tema dei ricordi è intrinseco al mondo del cinema. La memoria personale d’altronde è qualcosa di estremamente importante per l’individuo e per la società, da cercare di conservare e proteggere per il futuro. Dall’unione di tante piccole storie nasce poi la memoria della società stessa. Joana Hadjithomas e Khalil Joreige ci portano in un lungo viaggio tra i ricordi di una famiglia, nel mezzo di una guerra civile che ferisce per sempre la storia di una nazione. Memory Box è una scatola di diari, foto, emozioni che da un passato analogico nascosto riemergono all’improvviso.
Alex, studentessa adolescente, vive a Montreal con la madre e la nonna. Nel mezzo di una bufera di neve invernale, si apprestano a festeggiare il Natale. Un pacco inaspettato, durante la vigilia di Natale, spedito da una vecchia amica della madre è pronto a diventare il vaso di Pandora da scoperchiare. All’interno tanti ricordi di un passato che il dolore aveva sigillato, pronti inesorabilmente a riaffiorare. La curiosità di Alex prende il sopravvento ed inizia, tra audiocassette, polaroid e diari, un dialogo asimmetrico con la madre adolescente. Un legame tra presente e passato, digitale ed analogico, tra le differenti adolescenze di due vite temporalmente lontane ma fisicamente molto vicine. Alex si ritroverà così catapultata a Beirut, nel mezzo della guerra civile che a cavallo degli anni 80 dilaniò il Libano.
Ovviamente il focus è sul passato, il presente diventa solo un mero motivo per far proseguire la storia. La curiosità di Alex nello sfogliare pagine ingiallite porta il film a sbilanciarsi, giustamente, sul contenuto dei ricordi. Ciò che passa meglio sono infatti le emozioni, diverse e contrastanti, cucite tra di loro in un racconto che salta da un flashback all’altro. Tutto alla fine si riconduce all’eclettismo registico, che riesce a dare un’impronta difficile da trovare in altre pellicole. Tra la dolcezza del tempo delle mele e la violenza della guerra, in un miscuglio personalissimo, brillante, a tratti estremo.
Unione di tecniche stilistiche differenti: documentario, animazione e opera di finzione, i due registi cercano di ricostruire sullo sfondo il dramma della guerra. Mantenendo il film in costante equilibrio tra felicità adolescenziale e tragedia umana. C’è qualcosa di profondamente sentito, doloroso e personale in Memory Box, frutto dell’esperienza lavorativa e di vita di Hadjithomas e Joreige. La sceneggiatura non sorprende nella sua evoluzione, quello che però affascina è ciò che rimane tra le righe, tra le pagine dei diari scritti dalla madre, tra le polaroid scattate ed i rullini non sviluppati. Ci sono spazi e tempi dimenticati che riaffiorano e donano un’interessante originalità alla pellicola.
Così come dal lato puramente registico, se bisogna pur apprezzare la forte sperimentazione, l’opera rischia leggermente di perdersi tra i suoi innumerevoli registri stilistici, il costo della sua unicità è la perdita di focus dal punto di vista delle inquadrature. È quindi sia la sua forza che probabilmente il suo limite maggiore, non riuscendo a risaltare dal punto di vista tecnico. Spetterà allo spettatore dare il giusto peso a queste scelte, bilanciando con il proprio gusto personale.
Una scena di sicuro interesse, espressione di pura potenza visiva che sarà poi difficile ritrovare lungo la pellicola, riguarda due innamorati su una vespa mentre dietro di loro la città è distrutta dai bombardamenti. In essa è racchiuso Memory Box, una storia di riappacificazione personale, di legami che si rinforzano e ferite che si ricuciono definitivamente, di amore che risalta sull’odio insensato della guerra.