Mindhunter

Mindhunter recensione serie TV di David Fincher e Joe Penhall [Netflix]

Mindhunter recensione serie TV creata da Joe Penhall e diretta da David Fincher con Jonathan Groff, Holt McCallany, Anna Torv, Stacey Roca e Hannah Gross

Di notte, mentre voi dormite, io distruggo il mondo.
(Damon Herriman alias Charles Manson in Mindhunter)

Nell’immaginario collettivo la figura degli agenti speciali dell’FBI è sempre stata collegata alla caccia ai serial killer. Consapevolezza che è stata trasmessa alle masse grazie agli innumerevoli film e serie tv prodotti nel corso degli anni, in cui i protagonisti sono agenti speciali a caccia dei mostri reali in una lotta tra il bene e il male.

La verità, invece, è un po’ diversa e a raccontarcela è la serie distribuita da Netflix Mindhunter – di cui abbiamo recensito in passato la prima stagione – ricostruzione che racconta la storia del primo criminal profiler, ideata da Joe Penhall, che prende ispirazione dal libro La storia vera del primo cacciatore di serial killer americano scritto da Mark Olshaker e John E. Douglas.

Holt McCallany e Jonathan Groff
Holt McCallany e Jonathan Groff (Credits: Patrick Harbron/Netflix)
Mindhunter recensione serie TV Joe Penhall David Fincher
Jonathan Groff e Holt McCallany (Credits: Patrick Harbron/Netflix)

Mindhunter si divide in due stagioni (2017-2019) ed è incentrata sull’agente speciale Holden Ford (interpretato da Jonathan Groff). Siamo nel 1977 e l’FBI si occupa principalmente dei casi della propria giurisdizione tra cui rapimenti e negoziazione di ostaggi. Holden Ford è uno dei negoziatori e, proprio a fronte di uno di questi interventi, trova l’iter per comprendere l’atteggiamento criminale a livello psicologico, argomento ancora poco trattato se non superficialmente. Le alte sfere del Bureau decidono di affiancare l’agente Ford al più anziano e competente Bill Tench (interpretato da Holt McCallany) che si occupa del reparto di scienze comportamentali, il cui scopo è viaggiare per il Paese e istruire i vari agenti di polizia con nozioni base sul comportamento criminale.

L’approccio che l’FBI assume non soddisfa Holden, poiché ritiene che per prevenire un omicidio bisogna in qualche modo entrare nella mente dell’assassino e l’unico modo per farlo è quello di intervistare tutti gli assassini seriali catturati nel corso del tempo, a cui nessuno sembra interessato a porgere delle domande sui crimini che hanno commesso. L’ostinazione di Ford convince il collega Tench ad imbarcarsi in un’impresa ben precisa, cioè andare nelle prigioni di Stato di tutto il Paese ed intervistare gli assassini più spietati, documentando tutto con riprese audio e video.

Anna Torv in Mindhunter
Anna Torv in Mindhunter (Credits: Patrick Harbron/Netflix)
Holt McCallany
Holt McCallany (Credits: Patrick Harbron/Netflix)

Il piccolo progetto sperimentale diventerà poi sempre più importante, tanto da essere supportato e sviluppato al meglio da un nuovo elemento della squadra cioè la professoressa Wendy Carr (interpretata da Anna Torv), il cui scopo è simile a quello dei due agenti, cioè studiare ed etichettare una nuova tipologia di assassino, il cosiddetto serial killer, e un nuovo metodo di indagine ed identificazione del colpevole chiamato profilazione. Gli agenti si ritrovano dunque faccia a faccia con persone in apparenza normali, ma che in verità sono sono dei veri e propri mostri senza scrupoli.

Le interviste e le informazioni ricavate da questi confronti permettono, in tutto l’arco di tempo dedicato allo studio, di applicare queste conoscenze in diversi casi in cui i due agenti si imbattono durante i corsi di formazione che tengono nelle varie centrali di polizia. Questo li porterà a testare sul campo il nuovo approccio nella risoluzioni dei casi di omicidio, raccogliendo cosi i primi successi. Tuttavia avere a che fare con i serial killer non sarà una passeggiata per tutti coloro coinvolti in questo ambizioso progetto e non tutto andrà come sperato perché lo studio è solo la punta dell’iceberg.

Mindhunter si mostra come una seria decisamente ricca e completa anche se composta solo da due stagioni. Inutile dire che di azione se ne vede poca e niente, lo scopo principale di questo progetto è raccontare come è nato lo studio sui serial killer, in un periodo storico in cui nessuno dava un reale peso a questo figure, tanto da limitarsi ad imprigionarli senza preoccuparsi del fatto che fossero un elemento di studio essenziale per prevenire altri omicidi. La serie vuole scavare all’interno della mente umana, quella più contorta, e per fare ciò si avvale delle interviste di diversi serial killer che sono diventati “iconici” per gli atti di cui si sono macchiati, sfilano tra gli altri: Edmund Kemper, Montie Rissel, Jerry Brudos, Richard Speck, Tex Watson, Charles Manson e David Berkowitz (soprannominato Figlio di Sam).

Damon Herriman è Charles Manson
Damon Herriman è Charles Manson
Jonathan Groff e Anna Torv
Jonathan Groff e Anna Torv (Credits: Patrick Harbron/Netflix)

In MindHunter è molto interessante l’impatto psicologico che i due agenti e i loro collaboratori hanno confrontandosi con questi serial killer, tanto da influenzare le loro vite private e di tutti coloro che gli stanno vicino. Se la narrazione degli eventi si dimostra perfetta nel raccontarci come sono nati i profiler, allo stesso modo essa è messa ottimamente in scena dalle interpretazioni di un cast coinvolgente e tremendamente efficace nel calarsi nei rispettivi personaggi, smarriti di fronte ad un’impresa che pare essere più grande di quanto ipotizzassero all’inizio. Anche la rappresentazione dei serial killer è estremamente curata: è quasi difficile distinguerli da quelli originali, sia nel portamento che nella voce e nella somiglianza fisica; facendo (ri)vivere pienamente l’esperienza dell’intervista allo spettatore.

Mindhunter è una serie davvero ben costruita che cala lo spettatore nella comprensione del fenomeno statunitense dei serial killer, permettendogli di immedesimarsi in coloro che per primi hanno studiato cosa porti una persona normale a diventare un assassino seriale.

Sintesi

Mindhunter mette in scena le origini dei primi profiler attraverso personaggi interessanti e psicologicamente sfaccettati ed un racconto ben costruito, anche dal punto di vista storico, incentrato su un fenomeno che ha sempre affascinato l'immaginario collettivo: la figura misteriosa e spaventosa del serial killer.

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