Mio fratello, mia sorella recensione film di Roberto Capucci con Alessandro Preziosi, Claudia Pandolfi, Ludovica Martino, Francesco Cavallo e Stella Egitto
Come parlare della schizofrenia senza risultare didascalici? Questa domanda deve avere dato molti grattacapi a Roberto Capucci quando Mio fratello, mia sorella era ancora un progetto in fase embrionale. Una tematica spinosa e con mille insidie da incorporare in un film destinato al grande pubblico – ancora più grande con il coinvolgimento diretto di Netflix. Ecco allora un viaggio approfondito nelle manifestazioni di questo disturbo poco esplorato con la sceneggiatrice Paola Mammini e il cast all’interno di reparti psichiatrici per trasformare un tema da svolgere in un percorso da sentire in prima persona.
Se c’è una cosa infatti da riconoscere a Mio fratello, mia sorella è quello di aver fatto in modo che il suo nucleo non sia solo nascosto da una semplice membrana, ma che con essa dialoghi in continuazione. Una situazione familiare complicata e piena di lacune da colmare si appoggia sulla psicosi di Sebastiano (Francesco Cavallo) per sbrogliare una matassa emotiva in cui potersi riconoscere e avvertire una certa risonanza. La patologia del singolo evidenzia la patologia che nasce all’interno del focolare domestico con effetti e manifestazioni differenti.
È una strada coraggiosa e nemmeno troppo scontata, ma non è tutta in discesa. Se il nobile intento è supportato e sostenuto dalla scienza, le dinamiche che portano gli eventi a susseguirsi e intrecciarsi sono meno illuminate. Non basta più preparare la posta in palio di un film con le volontà post-mortem espresse da un notaio, a prescindere dalla bontà di tutto quello che si propone di raccontare successivamente. Perché così si spreca la chimica fratello-sorella tra Nick (Alessandro Preziosi) e Tesla (Claudia Pandolfi) e un finale forte che va oltre le convenzioni a cui ci siamo lentamente abituati.
C’è del buono in Mio fratello, mia sorella soprattutto per la platea trasversale a cui verrà proposto, ma una sceneggiatura non perfetta e macchinosa nelle premesse lo rende prigioniero di scelte logiche ma non naturali. E, parlando di schizofrenia e famiglie disfunzionali, è un problema che doveva essere risolto.