Quando uno space shuttle Moonraker, prestato al governo britannico, svanisce durante la trasvolata che lo trasporta dalla Florida al Regno Unito, James Bond viene inviato in California ad investigare presso la compagnia produttrice, la Drax Enterprises. Tra l’ostilità del magnate Hugo Drax e quella di uno dei suoi scienziati, la dottoressa Holly Goodhead, 007 trova calore umano in Corinne Dufour, pilota personale dell’imprenditore. Sospettando che Drax abbia losche intenzioni, 007 rinviene in una cassaforte il progetto di un ordigno misterioso, uno dei componenti del quale è una custodia in vetro di Murano. Nel corso di un’ispezione in laguna, si imbatte nuovamente in Goodhead; seguirà poi la donna a Rio de Janeiro, senza sapere che sulle sue tracce c’è un vecchio avversario: il possente Jaws dai denti d’acciaio.
The Spy Who Loved Me aveva ottenuto un successo di pubblico ed un ritorno economico senza precedenti, perciò per il successivo film della serie Albert R. Broccoli era più che contento di potersi avvalere dello stesso team creativo: Lewis Gilbert alla regia (al suo terzo 007), Christopher Wood alla sceneggiatura, Ken Adam come (quasi) sempre production designer.
A rendere il lavoro più avventuroso c’era l’erario britannico, che era arrivato a sottrarre ai contribuenti abbienti più dell’ottanta per cento dei loro ricavi: come Guy Hamilton e John Barry prima di lui, anche Broccoli lasciò l’Inghilterra. Uno stratagemma semplice, che però rendeva sempre più complicata la produzione dei film: sempre più collaboratori stavano diventando ‘esuli fiscali’, impedendo loro di lavorare nel Regno Unito. Per ovviare al problema, e per raddoppiare le agevolazioni, si decise che il prossimo film sarebbe stato girato in Francia, inaugurando un’inedita co-produzione Anglo-Francese tra Eon Productions e Les Productions Artistes Associés.
La didascalia finale di The Spy Who Loved Me preannunciava il ritorno di James Bond in For Your Eyes Only, ma dopo il successo di Star Wars la produzione pensò di capitalizzare sul ritrovato interesse del pubblico per le imprese spaziali: a questo scopo il titolo più adatto era Moonraker. Il titolo, sì, perché evocava la luna, ma non il romanzo, che raccontava dell’imprenditore doppiogiochista Hugo Drax e del suo piano per lanciare l’ennesimo missile nucleare, chiamato appunto Moonraker, contro Londra. Broccoli considerò giustamente che di ordigni atomici le missioni di 007 erano già sature, e che serviva un’idea diversa, che in qualche modo portasse James Bond nello Spazio.
A dare l’idea decisiva furono le attività della NASA, che negli Stati Uniti stava ultimando la costruzione dei primi Space Shuttle (la cui prima missione non avrebbe avuto luogo prima del 1981): si decise di incentrare la trama su questo nuovo mezzo di trasporto extra-terrestre.
Broccoli e il suo figliastro, Michael G. Wilson (che si era fatto le ossa sui film precedenti, fino ad assumere qui il ruolo di Produttore Esecutivo), commissionarono una prima stesura del copione al solito Tom Mankiewicz, che restò non accreditato come per il film precedente, e passò poi oneri e onori a Christopher Wood. Lo sceneggiatore, come già il suo predecessore, soffriva a causa del processo creativo dei film di James Bond, troppo collaborativo, e che lo costringeva a tenere conto dei ‘suggerimenti’ di tutti coloro che lavoravano sul film, a scapito della propria visione. Come per The Spy Who Loved Me, Vernon Harris scrisse una stesura aggiuntiva. Ulteriori rifiniture vennero date dal team di autori inglesi Dick Clement e Ian La Frenais, all’epoca attivi soprattutto in TV (in tempi più recenti, scriveranno The Commitments di Alan Parker e Across The Universe di Julie Taymor).
Un processo laborioso – anche se, come sappiamo, non inusuale per un film di 007 -, il cui risultato è imprevedibile; in questo caso sortì una brutta copia dell’episodio precedente, del quale ricalcava gli elementi principali: il furto di un gigantesco mezzo di trasporto che apre il film, seguito immediatamente da una scena d’azione con paracadute; un industriale dai gusti raffinati che vuole distruggere la civiltà moderna per fare spazio ad una nuova era utopica; la schermaglia e poi l’alleanza di James Bond con una collega di un’altra nazione; l’indistruttibile Jaws; un inseguimento con un mezzo di trasporto anfibio; perfino la scena finale, con i superiori dei due agenti che li sorprendono sotto le lenzuola.
Moonraker è la prova di quanto realizzare un buon film sia impresa delicata, dipendente da fattori non sempre riconoscibili, e di come ripetere la stessa ricetta non garantisca la stessa qualità del prodotto finale.
Il primo aggettivo che viene in mente per Moonraker è ‘sciocco’: dalla tipologia dei gadget (il profumo lanciafiamme!) alla ridicola gondola hovercraft, dalle continue frastornanti battute a doppio senso alla reazione del piccione in piazza San Marco, dalla scena dell’acceleratore di gravità (ricalcata su quella, simile, del dispositivo medico di trazione di Thunderball) alla riconversione di Jaws, Operazione Spazio rivaleggia per idiozia con gli ultimi film girati da Guy Hamilton, senza nemmeno poter contare su un cattivo interessante come Paco Scaramanga.
Hugo Drax, intepretato dall’attore anglo-francese Michael Lonsdale (il che aiutava con i finanziamenti dalla Francia, e mise fuori gioco la candidatura di James Mason per lo stesso ruolo), è un personaggio completamente dimenticabile, mono-dimensionale, che non nasconde il disprezzo per Bond fin dalla prima scena, contrariamente alla tradizione che vuole il villain almeno vagamente affabile.
A compensare per il blando antagonista, il film deve mettere in sequenza due sgherri: il maggiordomo (ed esperto di arti marziali) giapponese Chang (Toshiro Suga, che era l’insegnante di arti marziali di Michael G. Wilson), irritante urlatore che dura il giusto e costringe Drax a telefonare all’agenzia di collocamento per bracci destri malvagi, che gli propone i servigi dell’ormai disoccupato Jaws/Squalo.
Il gigante (Richard Kiel) aveva fatto breccia nel cuore del pubblico in The Spy Who Loved Me e ritorna fin dall’inizio del film a perseguitare James Bond. Dopo essere piombato sul tendone di un circo, deve aver trascorso il periodo tra un impiego e l’altro prendendo lezioni di pagliacceria, diventando un sicario con hobby di spalla comica (anche se la scena in cui appare letteralmente travestito da clown è davvero terrificante). Ad ogni apparizione, sfoggerà un perenne sorriso metallico, con un atteggiamento che lo fa sembrare una persona senza amici che davvero vorrebbe passare più tempo con uno figo come 007. Fortunatamente, per ognuno c’è qualcuno sempre, e anche Jaws troverà l’amore (nonostante la dura resistenza di Christopher Wood, che tentò di opporsi al nuovo corso del suo villain).
La prima inquadratura su James Bond è impietosa, mettendo in risalto le rughe di un Roger Moore che ha ormai passato la cinquantina ed è qui al suo primo rinnovo di contratto: forse per l’età, forse solo per sceneggiatura, 007 ha abbandonato i modi affabili e raffinati che avevamo apprezzato ai tempi di Live and Let Die, ed è tornato a somigliare all’agente arrogante e sbruffone dell’epoca Connery. Holly Goodhead è di nuovo un personaggio femminile che tiene testa a James Bond e, se da un lato è più passivo di Anya Amasova, è anche meno sessualizzato (in effetti, una tuta spaziale con scollatura sarebbe risultata anche meno credibile di un energumeno con i denti di metallo). La sua interprete, Lois Chiles (che era stata brevemente considerata per il ruolo del maggiore sovietico in The Spy Who Loved Me), non era del tutto convinta: erano gli anni settanta, ed il movimento femminista si stava ribellando alla rappresentazione delle donne come oggetti sessuali; un peccato del quale, come sappiamo, i film di 007 erano particolarmente colpevoli, ed essere una ‘Bond girl’ significava in qualche modo assecondare questo atteggiamento. Più volte, durante le riprese, Chiles tentò di dare più carattere e spessore al suo personaggio, solo per essere ridimensionata nel suo ruolo da Lewis Gilbert.
Il regista, peraltro, con questo film rovina la sua eccellente prestazione, che fino ad ora aveva prodotto due dei migliori episodi della saga.
Bisogna dare atto a Moonraker della volontà di stupire lo spettatore, con la sua intera ultima mezz’ora ambientata nello Spazio, chiaramente ispirata a Guerre Stellari, con le sue sparatorie a base di blaster e la missione finale che consiste in una corsa contro il tempo per sparare ad un preciso obiettivo, anche se l’effetto non è esattamente lo stesso della corsa nel canalone della Death Star.
Il tutto venne realizzato con effetti rigorosamente ‘vecchia maniera’, perché ancora la computer graphics era troppo costosa e richiedeva tempi troppo lunghi, incompatibili con la serrata pianificazione di un film di James Bond.
Anche la sequenza iniziale mozzafiato venne girata (quasi) interamente in vera caduta libera, a pezzettini di pochi secondi alla volta, per un totale di una novantina di ciak. Come per l’apertura di The Spy Who Loved Me, l’idea era stata di Michael G. Wilson, che ingaggiò un team di paracadutisti, capeggiato da B.J. Worth. La sequenza venne coordinata dal direttore della seconda unità, John Glen, e girata tre mesi prima del resto del film, in modo da avere il tempo di preparare un ‘piano B’ nel caso in cui si fosse dimostrata irrealizzabile o inefficace.
Di un certo interesse è anche la scena in cui la pilota Corinne Dufour (Corinne Clery, un’altra concessione al finanziamento francese), vistasi licenziare in tronco da Drax per palese tradimento del rapporto datore di lavoro-impiegato, abbandona la sua vettura per fuggire a piedi nella foresta, inseguita da due cani decisamente più veloci di lei.
Ci sono insomma validi motivi per criticare Moonraker, tanto che lo si potrebbe frettolosamente archiviare come il peggior film della serie. Tutto considerato, però, apprezziamo l’impegno profuso nel cercare di stare al passo con i tempi. A differenza di quello che pensava George Lazenby nel 1969, James Bond sopravvisse così agli anni ’70, forse senza ricevere troppo affetto dalla critica, ma con un incasso senza precedenti per la serie. Superare indenni gli anni ’80 sarebbe stata la prossima, delicatissima, missione di 007.
Curiosità:
- Claude Renoir, Direttore della Fotografia su The Spy Who Loved Me, era stato ingaggiato nuovamente per questo seguito, ma la sua vista, già in declino durante il film precedente, peggiorò notevolmente all’inizio delle riprese del nuovo film. Dovette essere pertanto sostituito dal connazionale Jean Tournier, che era stato il responsabile delle riprese per Il giorno dello sciacallo
- Moonraker fu il terzo e ultimo Bond film per il regista Lewis Gilbert. La sua carriera proseguirà per un altro paio di decenni, durante i quali il progetto di maggior rilievo fu Shirley, Valentine, candidato a 2 Oscar nel 1990
- Questa fu anche la settima ed ultima collaborazione di Ken Adam su un film di 007: sebbene non sia la ragione principale per l’uscita del production designer dal team, Albert R. Broccoli aveva cominciato a lamentarsi del costo sempre più elevato delle spettacolari basi segrete da lui progettate. Adam riceverà la sua quarta candidatura agli Oscar nel 1994, per La Famiglia Addams 2, e vincerà il suo secondo Academy Award l’anno successivo per La pazzia di Re Giorgio. Il primo Oscar gli era stato assegnato nel 1975 per Barry Lyndon, e l’abituale collaborazione con Stanley Kubrick si può chiaramente percepire nel design degli interni della base spaziale
- Operazione Spazio è, infine, l’ultima apparizione di Bernard Lee nel ruolo di M: presente in tutti gli undici film della serie girati fino ad allora, morì all’inizio delle riprese di For Your Eyes Only, prima che il suo contributo potesse essere filmato
- L’‘uomo con bottiglia’ che si interroga sul proprio stato di ebbrezza mentre la gondola percorre Piazza San Marco è, di nuovo, Victor Tourjansky, che era apparso in un’analoga situazione in The Spy Who Loved Me, sorpreso dall’uscita dall’acqua della Lotus anfibia di 007
- Riprendono il proprio ruolo dal film precedente anche Walter Gotell (il Generale Gogol) e Geoffrey Keen (il Ministro della Difesa britannico, Sir Frederick Gray)
- Come in The Spy Who Loved Me, il sonoro del film include richiami ad altre colonne sonore, in un chiaro omaggio alle sue ispirazioni ‘spaziali’: l’apertura della battuta di caccia è data dalle prime tre note del Così Parlò Zarathustra di Richard Strauss (da 2001: Odissea nello Spazio), suonate con un bugle, e la combinazione del laboratorio segreto a Murano è sfacciatamente composta dalle celeberrime cinque note di Incontri ravvicinati del terzo tipo. Del tutto gratuita invece è l’inserimento del tema da I Magnifici Sette nella scena in cui 007 cavalca verso il monastero in Brasile. Infine, Bond si rende colpevole, come tutti, dell’erronea citazione da Casablanca, ‘Suonala ancora, Sam’.
Debriefing:
- vittime di Bond: 12, incluso Drax
- vittime altrui: 9, più la solita carneficina finale
- amoreggiamenti: 3 (Corinne Dufour, Holly Goodhead e Manuela, l’agente di Rio totalmente inutile ai fini della trama, interpretato da Emily Bolton – dopo un tentativo fallito con l’attrice brasiliana Adele Fátima)
- gadget: innumerevoli. L’utilissimo spara-dardi da polso, un porta-sigarette scassinatore con visore a raggi X, una mini macchina fotografica, una bara natante zeppa di armi, la famigerata gondola a motore-hovercraft, la dotazione di Holly composta da una penna con siringa ipodermica, un’agenda con proiettili, un profumo lanciafiamme ed una borsetta-trasmettitore, e ancora un motoscafo armato di mine, siluri e deltaplano incorporato, e un orologio Seiko con carica detonatrice. Più i ‘blaster’ laser in dotazione all’esercito dei buoni e a quello dei cattivi
- tempo trascorso nel Regno Unito: nove minuti, se si includono i sei della sequenza aerea iniziale (durata totale: 2 ore e 6 minuti)
- 🇬🇧 Brit Factor 🇬🇧: 40%
- Paesi visitati: Regno Unito, Stati Uniti (California), Italia, Brasile, Unione Sovietica (telefonicamente), più lo Spazio
- the Love Boat: il film si conclude con James e Holly in assenza di gravità, mentre l’agente sta ‘tentando di rientrare’. Nave spaziale sì, ma pur sempre una nave. Risultato parziale: Imbarcazioni: 8, Resto del Mondo: 3
- Title track: il fatto che la produzione fosse basata in Francia consentì a John Barry di tornare a comporre la colonna sonora (dopo aver saltato, per motivi fiscali, The Spy Who Loved Me). La canzone del film, l’omonima Moonraker, venne scritta da Barry con un testo del cantautore americano Paul Williams (che, incidentalmente, era stato la prima scelta per interpretare Mr. Wint in Diamonds Are Forever), scritto esplicitamente per Frank Sinatra. ‘Ol’ Blue Eyes’ aveva dato la sua disponibilità, poi si tirò indietro. Si decise che un diverso artista avrebbe avuto bisogno di un nuovo testo, ma Williams si rifiutò di rimettere mano alla sua opera. La nuova stesura venne alla fine affidata ad Hal David, che già aveva scritto We Have All the Time in the World per On Her Majesty’s Secret Service. Mancava ancora un interprete: Kate Bush declinò l’offerta, e il brano venne allora inciso dal cantante romantico americano Johnny Matis, ma la sua versione non piacque. Il caso volle che Barry si imbattesse in una vecchia conoscenza, Shirley Bassey: la cantante di Goldfinger e Diamonds are Forever accettò di prestare la sua voce al brano, giusto per fare un favore al compositore. La possiamo capire: onestamente, è una canzone estremamente dimenticabile
- riconoscimenti: una candidatura agli Oscar per i migliori Effetti Speciali (a nome di Derek Meddings, Paul Wilson e John Evans). I vincitori furono invece H.G. Giger e Carlo Rambaldi per Alien
Classifica parziale:
- La spia che mi amava / The Spy Who Loved Me (1977)
- Agente 007 – Al Servizio Segreto di Sua Maestà / On Her Majesty’s Secret Service (1969)
- Agente 007 – Si vive solo due volte / You Only Live Twice (1967)
- A 007, dalla Russia con amore / From Russia With Love (1963)
- Agente 007 – Missione Goldfinger / Goldfinger (1964)
- Agente 007 – Vivi e Lascia Morire / Live and Let Die (1973)
- Agente 007 – Licenza di uccidere / Dr. No (1962)
- Moonraker – Operazione Spazio / Moonraker (1979)
- Agente 007 – L’uomo dalla pistola d’oro / The Man with the Golden Gun (1974)
- Agente 007 – Thunderball (Operazione Tuono) / Thunderball (1965)
- Agente 007 – Una cascata di diamanti / Diamonds Are Forever (1971)
James Bond Non Muore Mai ritornerà in Solo per i tuoi occhi.
Fonti: Wikipedia, lo spoiler special podcast di Empire, il libro Some Kind Of Hero* di Matthew Field e Ajay Chowdhury, IMDB, James Bond Wiki, MI-6 HQ. Il conteggio delle vittime è stato realizzato durante la visione del film e verificato con quello di All Outta Bubblegum. Il Brit Factor è un indice calcolato sulla base delle nazionalità delle persone coinvolte e sulle location del film, nella realtà e nella storia.
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