My Mexican Bretzel recensione film di Nuria Giménez Lorang con Frank A. Lorang e Ilse G. Ringier
Per la prima volta preferirei la libertà dell’oblio, alla schiavitù del ricordo.
(My Mexican Bretzel)
Nella sezione Visti da Vicino del Bergamo Film Meeting è possibile trovare opere cinematografiche uniche, sguardi originali sul mondo e l’umanità che lasciano senza fiato, un po’ straniti da queste storie e al contempo ammaliati dalla loro immagini. Dopo la recensione di Amor fati di Cláudia Varejão, saggio documentario sull’amore e le relazioni, la visione di My Mexican Bretzel ha confermato l’originalità e l’esistenza di uno sguardo altro, sul mondo e le narrazioni, prezioso e unico.
L’obiettivo di questa sezione del festival bergamasco è raccogliere le produzioni indipendenti provenienti dal panorama internazionale, inediti in Italia, film documentari che si caratterizzano per uno sguardo curioso e attento, capace di addentrarsi nella realtà cogliendo e sintetizzando il visibile e l’invisibile, di raccontare un tema, un luogo, un personaggio “da vicino” con intensità e partecipazione, così come dichiarato dagli organizzatori del festival.
Nuria Giménez Lorang ha studiato giornalismo, relazioni internazionali e regia del documentario. Ha vissuto a Berlino, Parigi e Londra e nell’ultimo decennio ha ampliato le sue conoscenze grazie a seminari e masterclass di diversi registi che ammira. Il suo primo cortometraggio, Kafeneio, è stato presentato a DocumentaMadrid 2017 e MIDBO 2017. My Mexican Bretzel è il suo primo lungometraggio, presentato in anteprima all’edizione del Festival Internazionale del cinema di Gijon nella sezione Llendes, ha ricevuto il premio per il miglior film spagnolo, partecipando in seguito alla sezione Bright Future dell’Internazional Film Festival Rotterdam nel 2020.
My Mexican Bretzel è un film muto sottotitolato con estratti del diario di Vivian Barrett e realizzato attraverso il montaggio dei film casalinghi girati da suo marito Léon Barrett un ricco industriale, tra gli anni Quaranta e Sessanta del secolo scorso. Il lungometraggio inizia con una citazione da un libro molto amato da Vivian, scritto dal guru spirituale Paravadin Kanvar Kharjppali che afferma «Le bugie sono solo un altro modo per dire la verità».
Tramite i filmati famigliari seguiamo la vita di Vivian e Léon dal ritorno di quest’ultimo dalla guerra, a seguito di un incidente aeronautico, sino alla morte di lei nel 1969. Le immagini ci restituiscono una visione di una coppia felice, la cui vita è colma di viaggi magnifici in giro per il mondo, una cartolina dal passato di luoghi idilliaci, ma le parole del diario di Vivian mostrano tutte le crepe della sua vita. Il dolore di non poter avere figli, la lontananza del marito che non è più stato lo stesso dopo il suo incidente, i tradimenti reciproci, la sofferenza della malattia e la consapevolezza della propria morte. Un racconto cinematografico non dissimile a Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi, se non fosse che Vivian non è mai esistita.
L’idea del film risale al 2011 quando Giménez trova i film domestici realizzati durante la seconda metà del secolo scorso dai suoi nonni, Frank A. Lorang e Ilse G. Ringier. Ilse, bellissima ed elegante, e Frank, uomo dalle pose machiste che ricordano i sollevatori di pesi nei circhi, i loro viaggi per il mondo, da Parigi a New York, passando per Firenze e Maiorca, le gite in barca e le escursioni; tutte queste immagini si plasmano in un esperimento cinematografico affascinante. Nuria Giménez Lorang scrive un diario immaginario, racconta i momenti di un esistenza, nei suoi dettagli più intimi, parole che diventano illustrazione di 50 bobine in 16mm.
My Mexican Bretzel crea l’illusione della realtà, un trompe-l’oeil audiovisivo quasi interamente senza suono – ad eccezione di una musica extradiegetica che appare nei momenti di tensione scimmiottando il suono di un cuore che batte accompagnato dalle parole di Vivian. Ma la finzione non inficia ciò che Giménez racconta. La pellicola è una riflessione sull’umanità, la guerra, l’amore, la pace, le incertezze, le insicurezze e il rapporto con il passato. Tolto un narratore siamo noi spettatrici e spettatori a dare voce ai diari di Vivian e dell’inesistente libro scritto da Kharjappali, diventiamo attori del racconto, dandogli un timbro vocale e un ritmo, quelle parole divengono per noi verità, poiché partecipiamo alla loro creazione, al loro divenire una realtà inconfutabile, tanto da essere impensabile che non sia autentica.