Nel nome della Terra recensione film di Edouard Bergeon con Guillaume Canet, Veerle Baetens, Anthony Bajon, Rufus, Samir Guesmi e Yona Kervern
Nelle campagne francesi, si suicida un contadino ogni due giorni. In questo sconcertante dato trova la sua ragion d’essere Nel nome della Terra, opera prima di Edouard Bergeon dedicata ad una piaga silenziosa che affligge una Francia spesso lontana dalla cronaca internazionale. Un gran numero di lavoratori della terra si ritrova a fare i conti con un’attività scalfita, ridimensionata e depauperata che, però, non può fare a meno di esistere.
Non è insolito, nella recente cinematografia francese, trovare un filone di denuncia sociale e di ispirazione civica. Il cinema si fa volentieri megafono di tensioni e storture, venendo quasi sempre premiato al botteghino dagli spettatori per il tentativo. Basta pensare, senza andare troppo indietro nel tempo, a In Guerra di Stephane Brizè, a Le invisibili di Louise-Julien Petit, Le nostre battaglie di Guillame Senez o all’ultimo in ordine cronologico Grazie a Dio di François Ozon. Tematiche differenti, registi diversi, ma uniti dalla parte degli sconfitti dalla vita e delle loro storie da raccontare.
In questo caso specifico, Bergeon ricostruisce il suo vissuto personale attraverso l’esperienza diretta vissuta con il padre, un proprietario terriero in lotta per tutta la sua vita per rimanere ancorato al proprio possedimento. La parabola discendente, segnata dal tempo e dai conseguenti mutamenti sociali e tecnologici, illustra come la fiammella della passione e dell’orgoglio per il proprio lavoro sia destinata ad affievolirsi inesorabilmente ed inquinare, con il fumo residuo, tutta la vita circostante.
Nel nome della Terra è un film pieno di conflitti interiori ed esteriori destinati a rimanere irrisolti e diventare un masso gigantesco da portare a spasso. La traiettoria del singolo (Guillame Caunet) si scontra con se stesso, la propria famiglia, creditori, competitor in una maratona sfiancante che in una finzione semi-biografica rende perfettamente l’idea di ciò a cui sono sottoposti i lavoratori della terra oggi, nonostante si tratti di una categoria imprescindibile per qualsiasi nazione.
Per questo motivo, quando nella sequenza finale la realtà irrompe con dei filmati d’archivio della persone che lo stesso Caunet interpreta, il valore complessivo della storia raccontata dal regista francese sale improvvisamente di tono, lasciando un nota amara che dà vita a quella statistica riportata all’inizio. A finire sotto terra non sono numeri, ma persone in carne ed ossa che su quella terra hanno buttato sangue, sudore e la propria intera vita.