Night Raiders recensione film di Danis Goulet con Elle-Máijá Tailfeathers, Violet Nelson, Shaun Sipos, Amanda Plummer e Brooklyn Letexier-Hart
Presentato alla Berlinale, al Toronto Film Festival e ora film di apertura del Trieste Science+Fiction Festival 2021, Night Raiders è l’opera prima della regista canadese Danis Goulet. Prodotto da Taika Waititi, il film racconta il lungo viaggio di una madre, un’indigena Cree, per salvare la figlia, rapita dai nazionalisti statunitensi.
Siamo nel 2043, in una realtà fortemente militarizzata, dove abbondano povertà e desolazione. I bambini sono di proprietà del governo e vengono portati via alle famiglie per essere addestrati a diventare spietati soldati. Quando sua figlia Waseese (Brooklyn Letexier-Hart) le viene portata via, Niska (Elle-Máijá Tailfeathers) non vuole arrendersi e unisce le sue forze con quelle di un gruppo di ribelli indigeni per portar via Waseese e altri bambini dall’impenetrabile Accademia.
Attraverso un racconto distopico, Danis Goulet, regista Cree-Métis, porta in primo piano le condizioni delle comunità indigene e i soprusi che per secoli hanno subito, a causa della colonizzazione bianca. Nella sua visione, il futuro prossimo è una realtà crudele, in cui solo i più ricchi vivono in condizioni agiate, mentre persone come Niska e Waseese sono costrette a nascondersi nei boschi o a vivere di stenti nelle città. Ma, dopotutto, queste sono situazioni che le popolazioni Indigene conoscono già ora e così nel suo lungometraggio, presente e futuro non sembrano poi così lontani.
Anche la presenza dell’Accademia, guidata da un’implacabile Preside (Suzanne Cyr), in cui vengono trasferiti i bambini e addestrati, ma anche privati della loro identità, a cominciare dai nomi (Waseese verrà chiamata Elizabeth), non è altro che un’eco di una violenza perpetrata nei secoli scorsi da parte di missionari cristiani nei confronti di tribù native, i cui figli venivano portati via e di cui si perdevano le tracce. I recenti ritrovamenti di oltre duecento scheletri di bambini indigeni in una fossa comune dietro a una scuola canadese nel British Columbia sono una prova di questi soprusi. Ma ancora oggi le tribù native subiscono la violenza di un sistema oppressivo, che attraverso burocrazia, funzionari e leggi contribuisce a separare intere famiglie.
Eppure, nonostante l’orrore – distopico e reale – la comunità indigena mantiene unita se stessa, attraverso i canti, l’uso dei propri dialetti (anche nel film si può ascoltare l’idioma Cree) e delle proprie tradizioni, insegnando il valore della comunità, laddove il governo nazionalista promuove ed esalta l’individualismo. Così, anche Niska, che da sempre ha potuto contare solo su se stessa, apprende l’importanza dell’avere una tribù su cui fare affidamento per poter salvare Waseese.
Inoltre, grazie alla scrittura di Danis Goulet, la rappresentazione delle comunità native risulta veritiera e libera da stereotipi razzisti e feticisti.
Night Raiders, al di là di qualche sbavatura nel ritmo della storia, eccessivamente dilatato in alcuni momenti, si presenta come un’ottima opera prima, un’ode alla resilienza non solo delle donne, ma di un’intera comunità.