Nomadland recensione film di Chloé Zhao con Frances McDormand, David Strathairn, Linda May, Charlene Swankie e Bob Wells
Last but not least. Nel penultimo giorno di Venezia 77 arriva Nomadland, il film in concorso scritto e diretto da Chloé Zhao che punta dritto al Leone d’Oro. Francis McDormand è la protagonista di un dramma on the road malinconico, intimo ed emozionante che riflette sulla condizione di coloro che non hanno una fissa dimora e sono perennemente in viaggio, per scelta o per necessità.
Dopo il collasso economico di una città aziendale nel Nevada rurale, Fern carica tutto quello che ha su un furgone e si mette in viaggio per fuggire da quella società capitalista che l’ha profondamente delusa. Vedova e senza figli, Fern si arrangia con lavori stagionali come lo smistamento pacchi per Amazon o la pulizia di camping attrezzati, stringendo amicizie sincere e sfidando le basse temperature dell’Ovest americano. Deve contare solo sulle proprie forze, da sola in un Paese che da sempre vive una disparità economica e sociale senza mezze misure. E’ di pochi mesi fa una stima del governo californiano che parlava di circa 60.000 senzatetto che vivono attualmente nello stato americano, come potenziali vittime del dramma sanitario del COVID-19.
Ispirato al libro di Jessica Bruder, Nomadland. Un racconto d’inchiesta, il terzo film di Zhao è un racconto sincero e umile che si consuma tra lunghe highways, distese desertiche e paesaggi rocciosi e aridi come gran parte dei road movie che sono passati sul grande schermo per molti anni. La regia alterna piani sequenza suggestivi, inquadrature di ampio respiro e primi piani stretti sui vari personaggi che Fern incontra sulla sua strada. Linda May, Swankie e Bob Wells, in particolare, sono le figure che influenzano la sua vita, incoraggiando delle svolte narrative che danno ritmo al film.
McDormand – sempre magistrale – guida il film con un sentire sommesso e uno sguardo che riesce a raccontare da solo il suo passato di dolore e rassegnazione. Ma nei suoi occhi è ancora presente l’energia di andare avanti, di accogliere quello che il destino ha in serbo per lei, negando le condizioni di un destino convenzionale legato all’idea inflazionata del sogno americano. Nomadland utilizza la formula del road movie per riflettere sulle falle del sistema che riducono un onesto lavoratore a trasformare un minivan in una casa e adattarsi, ma nello stesso tempo prova a comprendere la differenza di chi è nomade per scelta e chi per necessità.
Per Fern essere in costante movimento è quasi una salvezza. Non ha bisogno di un posto preciso per sentirsi parte di una comunità, ma sta bene con la sua solitudine, anche se non è restìa a instaurare legami con le persone che incontra nel suo cammino. Ognuna di loro ha una sua storia, un suo background, interessante da scoprire. Inoltre ci si ferma a pensare al valore del tempo per godersi la vita prima che sia troppo tardi.
Nomadland è un film che tocca il cuore, commuove profondamente e denuncia anche una realtà americana già raccontata al cinema con film come Into The Wild, Captain Fantastic o Senza lasciare traccia. Anime vagabonde in cerca di libertà che vogliono prendere le distanze da una società ammaestrata e controllata.