Non conosci Papicha recensione film di Mounia Meddour con Lyna Khoudri, Shirine Boutella, Amira Hilda Douaouda, Zahra Manel Doumandji e Nadia Kaci
Distribuito a partire dall’11 febbraio in DVD, Non conosci Papicha è l’opera prima di Mounia Meddour, presentata al Festival di Cannes 2019. Il film conta su uno straordinario cast di giovani attrici, tra cui la protagonista Lyna Khoudri, che vedremo prossimamente nell’attesissimo film di Wes Anderson The French Dispatch.
Algeria, anni Novanta, le diciottenni Nedjma e Wassila si cambiano d’abito all’interno di un’auto in corsa per sgattaiolare nel buio della notte in un locale notturno. Tra un ballo e l’altro scopriamo che Nedjma (soprannominata Papicha) sogna di diventare una stilista, e le sue creazioni di stile “occidentale” hanno molto successo tra le giovani donne in discoteca, felici di valorizzare nei momenti di svago la loro femminilità.
Ma è proprio contro questa volontà di sentirsi giovani e belle che lotta il fondamentalismo religioso. Dal 1991 il GIA (Gruppo Islamico Armato) aveva iniziato una stagione di terrore e di omicidi e nel 1997 (anno in cui è ambientato il film) aveva sterminato interi villaggi.
Nedja e le sue amiche, studentesse di francese all’università, sono vittime di questo clima di terrore, assistendo alla affissione continua di volantini in cui si sostiene che le donne devono coprire il corpo e il volto. Non solo, le informazioni dal mondo esterno vengono filtrate e il bromuro viene messo nei loro piatti per sedare i loro animi.
Nella visione del film di Mounia Meddour nulla viene lasciato all’immaginazione: il clima di tensione è palpabile e le scene di violenza – fisica e psicologica – sono via via più frequenti.
Ad esempio, durante una lezione di francese, il corso viene interrotto dalle fondamentaliste islamiche, che rapiscono il professore, al grido di “sia maledetto colui che parla in lingua straniera, state traviando le menti dei nostri giovani”.
Le ragazze sopravvivono giorno dopo giorno con allegria ed esuberanza, cercando di trarre tutta la gioia possibile dalle piccole cose.
Nadja è una ragazza vivace e determinata, cresciuta all’interno di una famiglia molto aperta che da sempre la incoraggia ad inseguire il suo sogno di diventare stilista. Papicha farà della moda la sua bandiera di ribellione, quando – durante uno dei momenti di più alta drammaticità del film – sua sorella Lidia, coraggiosa giornalista in lotta per la libertà di informazione, verrà giustiziata in sua presenza.
Dopo la morte della sorella qualcosa in Papicha cambia, la speranza e la forza prendono il posto della rabbia e dal fuoco che ha dentro nasce un progetto: una collezione modernizzata di Haïk, un tradizionale indumento femminile algerino. Una sfilata per dire “no” alle costrizioni e “sì” ad inseguire i propri sogni.
Ad appoggiare Nedjma ci saranno le sue amiche di sempre, che suggelleranno il patto in una scena bellissima e dal grande impatto emotivo: una partita di calcio (sport ancora oggi considerato per uomini), scalze e sotto la pioggia.
Non conosci Papicha è un film intenso, per questo motivo stupisce che, nonostante si sia aggiudicato ben due Premi César, in Italia se ne sia parlato veramente troppo poco.
Aldilà del tema ancora oggi attuale, la pellicola va premiata anche per i suoi aspetti stilistici, a partire da un uso pulito ed ultra realistico della fotografia, fino ad arrivare all’accuratezza della colonna sonora.
Le uniche scene in cui la musica è protagonista assoluta sono quelle in cui le ragazze sono riunite per fare qualcosa assieme: una gita al mare, la preparazione della sfilata, semplici pettegolezzi. La scelta, ovviamente, non è casuale: l’obiettivo è quello di rimarcare la profonda amicizia che lega le protagoniste.
Il futuro della condizione della donna è in mano a ragazze così, semplici, che nel loro piccolo cercano di rompere i vecchi schemi per crearne di nuovi. Gandhi diceva “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
In conclusione si può affermare che l’opera di Mounia Meddour sia un manifesto femminista. Il cambiamento è nelle mani di quelle ragazze e verrà tramandato di sorella in sorella, di madre in figlia, come ci mostra l’emblematica ultima scena del film.