Nope recensione film di Jordan Peele con Daniel Kaluuya, Keke Palmer, Keith David, Steven Yeun, Brandon Perea, Barbie Ferreira e Michael Wincott
A dare un brivido a quest’estate torrida ci pensa Jordan Peele con Nope: il regista afroamericano torna al cinema, per la terza volta, dopo i successi di Get Out e Us.
Peele ci ha abituati, fin dal primo film, a pellicole ad alta tensione, a tinte horror e con una forte critica sociale. Il successo di Get Out, vincitore dell’Oscar come migliore sceneggiatura originale nel 2018, definita anche la migliore sceneggiatura del XXI secolo dalla Writers Guild of America, gli ha aperto le porte del successo. E, proprio per il suo ritorno al cinema, sceglie come protagonista Daniel Kaluuya, già carismatico protagonista di Get Out. Tra le new entry, invece, troviamo Keke Palmer, Steven Yeun, Brandon Perea, Barbie Ferreira e Michael Wincott.
Nope: una trama avvolta nel mistero fino alla fine
La trama di Nope è rimasta avvolta nel mistero fino alla sua uscita nei cinema, il che ha alimentato notevoli teorie sull’ultimo titolo del regista. Dopo la misteriosa morte di Otis Senior (Keith David), causata dalla caduta di materiale da un aereo, i due figli, OJ Haywood (Daniel Kaluuya) ed Emerald Haywood (Keke Palmer) gestiscono il ranch di famiglia, in una piccola cittadina isolata in California.
I cavalli del loro ranch sono spesso utilizzati nel cinema e negli spot pubblicitari, in modo tale da poter guadagnare abbastanza da poterlo tenere aperto.
La famiglia Haywood discende dal primo uomo apparso in un “film”, Cavallo in movimento, che vedeva un fantino nero in groppa ad un cavallo. Purtroppo la crisi si fa sentire e OJ decide di vendere alcuni cavalli a Ricky “Jupe“ Park (Steven Yeun), ex stella delle serie tv da bambino, che ora gestisce un parco divertimenti.
Il ranch è isolato tra le montagne, ma presto OJ ed Emerald si rendono conto di strane manifestazioni attorno al loro ranch e decidono d’installare alcune telecamere di sicurezza, grazie all’aiuto di Angel Torres (Brandon Perea), un commesso di una catena di elettrodomestici. Si renderanno presto conto dell’avanzare di una nuova minaccia.
Con i primi due film il regista aveva scelto una strada più intimista, mentre qui abbiamo la sua opera sicuramente più ambiziosa, soprattutto a livello visivo. In Nope c’è un importante uso degli effetti speciali e uno sguardo più ampio rispetto a quello che siamo abituati a vedere nella sua filmografia. Gli effetti speciali sono calibrati alla perfezione, così come i dialoghi e una solida sceneggiatura. Il rapporto che si crea fra i due fratelli sembra estremamente reale, grazie anche all’alchimia tra i due protagonisti, Kaluuya e Palmer. A colpire è proprio il realismo e la naturalezza dei protagonisti, che hanno reazioni spontanee e umane e ci fanno dimenticare per un attimo che stiamo guardando un’opera di finzione.
Avremmo tuttavia preferito una maggiore delineazione dei personaggi di contorno: quasi tutta la pellicola, infatti, è focalizzata sui personaggi di Keke Palmer e Daniel Kaluuya, trascurando gli altri.
Il regista gioca inizialmente col vedo/non vedo, tipico di molti horror psicologici, per poi esplodere in una vera e propria storia horror e sovrannaturale Ma è, soprattutto, la fotografia a colpire, un elemento che Peele non lascia mai al caso, viste le due opere precedenti: il direttore della fotografia, Hoyte van Hoytema, permette agli spettatori di calarsi all’interno della storia e ci sentiamo veramente parte di quell’assolata cittadina della California. Merito di una fotografia da cui è difficile distogliere lo sguardo.
Jordan Peele decide di raccontarci una storia che, apparentemente, potrebbe sembrare vista e rivista, ma il suo approccio rende la pellicola estremamente originale. Si può scrivere con cognizione di causa che non abbiamo mai visto un horror del genere, nonostante le evidenti ispirazioni a Lovecraft e Shyamalan.
Ci sono pochissimi jump scare, abilmente calibrati dal regista, per sostenere il ritmo della narrazione. In poco più di due ore, Peele confeziona un horror intelligente, giocando, soprattutto, sulla tensione e sul non visto, almeno nella prima parte. La suspense si mantiene alta, non solo grazie alla sceneggiatura, ma anche al sonoro che, in un crescendo continuo, ci accompagna sino all’epilogo.
Non manca anche una buona dose di ironia, che smorza i momenti di maggiore tensione. Nope è quasi una caccia al tesoro: se, all’inizio, brancoliamo nel buio, proprio come i protagonisti, con l’avanzare dei minuti cerchiamo di mettere ogni tassello al suo posto. Tuttavia è inevitabile non fare un confronto coi suoi lavori precedenti: sia in Get Out che in Us l’horror si intrecciava alla critica sociale, mentre qui la componente sociale è più metaforica e meno evidente, come se Peele volesse che gli spettatori si facessero domande, durante e dopo la visione.
In Nope possiamo constatare una metafora della natura che si ribella e della distruzione inevitabile: l’uomo vuole dominare la natura, anche se ne è intimamente terrorizzato.
Nope è un “horror estivo”, come definito dai due protagonisti, ma è anche una pellicola originale e che riesce a tenere un ritmo costante per tutta la sua durata. Probabilmente, il grande budget e la voglia di realizzare un’opera di più largo respiro hanno tolto a Jordan Peele quella scintilla che contraddistingue le precedenti fatiche. Nonostante ciò il regista confeziona egregiamente una pellicola horror atipica che smuove alla discussione.
Pur restando un passo indietro rispetto alle prime due opere di Peele, Nope si ritaglia uno spazio all’interno del mercato cinematografico che, soprattutto nel settore horror, manca spesso di originalità e maestria.