Nosferatu recensione film di Robert Eggers conWillem Dafoe, Lily-Rose Depp, Nicholas Hoult e Aaron Taylor-Johnson [Anteprima]
Wisborg 1838. L’indicazione temporale e geografica sembra essere quasi superflua all’interno di un film, che pur iniziando con un’immagine di possessione e quindi con un immediato riferimento a quel mondo vampiresco e gotico a cui siamo abituati, è perfettamente centrato nel mostrarci cos’era la Germania di quegli anni.
Dati gli ultimi esempi di film o serie tv storiche, sorprende la totale assenza di riferimenti all’attualità, più o meno metaforizzata, o la mancanza di voler sorprendere con dei costumi inaspettati. Linda Muir produce dei costumi autentici, polverosi, rigidi, in un film che già dalle prime scene fa della materialità il suo punto di forza. La componente splatter è proprio supportata da un crescente realismo, quasi ossessivo, fatto di saliva, sangue, sporcizia.
Ma, ancora una volta, questo realismo assume un significato profondo. La società tedesca di quasi metà secolo è profondamente radicata nei valori del romanticismo, percepito ancora come una sensibilità troppo vicina alla follia, e nell’illuminismo, che rigettava ogni spiegazione irrazionale.
Proprio su questo territorio si sviluppa l’inizio di Nosferatu fin da subito carico di suspance, supportato dalla musica ipnotica di Robin Carolan , che ci confonde e ci fa dubitare della reale pericolosità del viaggio in Transilvania del novello sposo Thomas (Nicholas Hoult).
Il racconto gioca su continui rimandi, forse sogni, momenti di vuoto e indizi che ci suggeriscono che quelle visioni spaventose sono accadute davvero. Mancano totalmente le coordinate spazio temporali che gettano lo spettatore nello sconforto.
Mentre Thomas prosegue il suo viaggio, ritrovandosi ben presto nelle grinfie del Conte Orlok (Bill Skarsgård) nel suo castello fatiscente, la bellissima moglie Ellen (Lily-Rose Depp) è di nuovo tormenta da attacchi epilettici, episodi di sonnambulismo e, come si scoprirà presto, da una possessione.
L’orrore ci accompagna con un sentimento di torpore, mentre la macchina da presa vaga lentamente, offrendo pochi tagli di montaggio e alimentando la curiosità nell’interpretare il suo viaggio. I paesaggi innevati e desolati sono sinistramente illuminati dalla luce della luna, grazie alla maestria del D.O.P. Jarin Blaschke.
Questa atmosfera viene lentamente interrotta dall’entrata in scena del professor Albin Eberhart von Franz (Willem Dafoe), l’unico che ascolta realmente i tormenti di Ellen, senza giustificarli con una logica ottocentesca, fuori luogo per la situazione. Finalmente Ellen viene creduta; lo spirito di Nosferatu, incarnato dal Conte Orlock, diventa manifesto. Durante questa conversazione Ellen racconta come senta che il suo spirito vaghi, di non riuscire a discernere ciò che è sogno da ciò che è reale, e si chiede:
iL MALE VIENE DA NOI O DALL’ALDILà?
Dal momento in cui Thomas riesce a far ritorno a casa, il film assume un altro tenore. Non c’è più la paura, ma il bisogno di avere risposte per fermare lo scempio che sta inginocchiando la cittadina di Wisborg.
Il conte Orlock, inizialmente sempre in controluce, si fa via via sempre più visibile. Thomas, che fino a quel momento non comprendeva la moglie, instaura con lei un rapporto più autentico dopo aver affrontato l’orrore.
Gli eventi catartici a cui sono sottoposti rivelano la vera natura di ogni personaggio, oscurata dal perbenismo apparente della loro società: Friedrich Harding (Aaron Taylor-Johnson) si rivela essere una persona cattiva, tanto perversa da stuprare il corpo della moglie morte, tanto ottusa da non capire cosa sta succedendo.
In un profluvio di emozioni, amore e desiderio, emerge il senso di sacrificio di Ellen e il suo desiderio di essere amata, dopo una vita in cui suo padre e la società l’hanno considerata folle.