Nuovo Olimpo recensione film di Ferzan Ozpetek con Damiano Gavino, Andrea Di Luigi, Aurora Giovinazzo, Alvise Rigo, Greta Scarano e Giancarlo Commare
Ozpetek torna al cinema con il suo attesissimo Nuovo Olimpo. Anzi, più precisamente, questo è il primo lungometraggio della rinomata carriera del noto regista turco a non uscire in sala, il che conferma nuovamente la metamorfosi in atto nell’odierno panorama cinematografico. Il film sarà infatti disponibile su Netflix a partire dal primo novembre.
Con l’annuncio di un nuovo film di Ferzan Ozpetek, solitamente, ci si aspetta che questo possa rappresentare un fulgido esempio di romanticismo, certamente a buon mercato, ma comunque dotato di più livelli di interpretazione e di uno sviluppo non scontato. Ecco, se vi aspettavate tutto ciò anche da Nuovo Olimpo, temiamo fortemente che non verrete accontentati. La nuova opera del regista di Napoli Velata pesca a piene mani dalla sua autobiografia, raccontando una fugace storia d’amore tra due ragazzi, ai quali il destino ha riservato più di una sorpresa.
A prescindere da come potremmo considerare il soggetto del film – poco lontano dall’essere considerato qualcosa di nuovo o originale – ci spiace rilevare un copioso elenco di approssimazioni narrative e, ancor più grave, una messa in scena profondamente minata dalla presenza di dialoghi e situazioni semplicemente poco credibili.
Non si tratta neanche della presenza di alcuni interpreti alle prime armi, ma di ciò che la sceneggiatura li costringe a portare davanti alla macchina da presa.
Il confine sottile tra la raffinatezza di un film di Adrian Lyne e la melensa rappresentazione riscontrabile in una qualsiasi puntata di Beautiful è un terreno complesso e angusto in cui muoversi e, in questo caso, ci dispiace avvicinare Nuovo Olimpo più alla celebre soap opera che alle splendide e sofisticate pellicole di Lyne. Ciò, per un regista che ha fatto del romanticismo la propria cifra stilistica, risulta piuttosto curioso e inaspettato. Il tutto considerando che, da un punto di vista prettamente formale, l’opera si conferma sui piacevoli livelli già riscontrati in passato.
I due personaggi principali, che dovrebbero naturalmente rappresentare la punta di diamante dell’assetto drammaturgico del film, sono in realtà piuttosto dimenticabili, a differenza delle figure femminili che gli gravitano intorno.
Luisa Ranieri, Aurora Giovinazzo e Greta Scarano brillano come comete nel buio, grazie ad una caratterizzazione rapida ma tagliente e ad un talento raramente eguagliato dai colleghi maschi. Non è un caso, infatti, che lo stesso Ferzan abbai ricordato del rapporto tendenzialmente più profondo che lo lega alle sue interpreti di sesso femminile, con le quali si trova a confrontarsi costantemente sui personaggi, in parte plasmati dalle intuizioni delle stesse attrici. Difatti, i dialoghi più didascalici e noiosamente zuccherini, nella gran parte dei casi, caratterizzano soltanto le interazioni tra i due protagonisti maschili.
Se consideriamo, infine, l’inspiegabile assenza di logica che domina alcune importanti dinamiche della trama, ecco che il risultato finale rischia persino di scavalcare la temuta definizione di “dimenticabile”, conquistando di diritto quella di “disastro”.