La truffatrice Debbie Ocean (Sandra Bullock) esce di prigione in libertà condizionale e, fatta una fugace visita esplicativa sulla tomba del fratello Danny, immediatamente si riunisce alla sua partner di misfatti, Lou (Cate Blanchett), per illustrarle il piano che ha escogitato durante i cinque anni in galera: sfruttare un gala del Metropolitan Museum di New York per trafugare un collier del valore di 150 milioni di dollari. Individuata la volubile star Daphne Kluger (Anne Hathaway) come inconsapevole strumento di scasso, le due mettono insieme la gang che si occuperà di mettere in pratica il piano: la stilista Helena Bonham Carter, la ricettatrice Sarah Paulson, l’esperta di diamanti Mindy Kaling, la hacker Rihanna e la borseggiatrice Awkwafina.
Ocean’s 8 declina al femminile la ‘truffa in grande stile’ riportata in auge la scorsa decade dalla coppia Steven Soderbergh/George Clooney, ma non si lascia appesantire dal suo modello/capostipite (eccezion fatta per il ripeterci quattro volte che Debbie è la sorella di Danny/Clooney: l’avevamo capito prima ancora che il film iniziasse): non c’è traccia, diversamente da quanto annunciato mesi fa, della coppia di elevenies Matt Damon/Carl Reiner, sostituiti da un altro cameo più discreto e gradito da parte di una vecchia gloria (che non riveleremo, anche se accade a pochi minuti dall’inizio del film).
Ocean’s 8 si regge da solo grazie a Sandra Bullock e Cate Blanchett, entrambe al massimo del loro potere ammaliante, perfette nel loro ruolo di menti e organizzatrici della banda, e grazie ad Anne Hathaway, che interpreta alla perfezione l’attrice affascinante ma capricciosa, con guizzi che ne fanno risaltare gli ottimi tempi comici. Helena Bonham Carter e Mindy Kaling aggiungono ulteriori sorrisi e Sarah Paulson è, come sempre, affidabilissima. Le note negative vengono dai maschi, con un Richard Armitage (Thorin Scudodiquercia) sottoutilizzato nel ruolo di artista ed ex di Debbie, e James Corden che deve aver confuso la sua parte di ‘John Frazier, investigatore assicurativo’ con ‘James Corden as himself’. Potrebbe essere scusato per via dell’inevitabile sequela di volti del jet set newyorchese, che nella migliore tradizione del genere interpretano sé stessi: tra queste, le apparizioni parlanti di Olivia Munn e Katie Holmes. Nella migliore tradizione ricadono anche le musiche, tra brani pop come These Boots Are Made For Walking e tracce strumentali scritte da Daniel Pemberton.
Quello che manca per aderire completamente al genere è un senso di suspense classico degli heist movies. Debbie Ocean ha avuto cinque anni per perfezionare il suo piano nei minimi dettagli, come spiegano convenientemente gli autori Gary Ross (anche regista, dopo The Hunger Games e Pleasantville) e Olivia Milch: il colpo è talmente ben oliato che nulla ne turba lo svolgimento, grazie alla professionalità delle truffatrici, una buona dose di inverosimiglianza, e plot holes grandi come il cranio di Anne Hathaway. Ma tutto questo è secondario: quello che manca davvero è un antagonista. Durante le riprese era stata annunciata la partecipazione di Damian Lewis nel ruolo del villain, ma nel prodotto finale del protagonista di Homeland non c’è traccia, e sospettiamo che la sua volatilizzazione abbia provocato rimaneggiamenti alla trama che hanno reso il film blando, più forma che sostanza.
Ocean’s 8 resta un film snello e godibilissimo, che grazie al suo stile e alla bravura del suo cast vi farà passare quasi due ore sorridendo, ma che, quando i titoli di coda cominceranno a scorrere, vi lascerà con la sensazione che una banda di truffatori abbia trafugato una parte del divertimento.