Oh, Canada recensione film di Paul Schrader con Richard Gere, Uma Thurman, Michael Imperioli e Jacob Elordi
Il Maestro Paul Schrader torna alla regia dopo Master Gardener (2022) con il film Oh, Canada, un adattamento cinematografico del romanzo dell’americano Russel Banks I tradimenti (2021), operazione che il cineasta americano aveva già compiuto con l’opera di dell’omonimo scrittore, Affliction (1997).
Altro elemento che si ripete è la collaborazione del regista con l’attore Richard Gere dopo il cult del 1980, American Gigolo, che in questa pellicola interpreta il protagonista Leonard in età adulta e anziana, mentre il ruolo dell’uomo in giovinezza è stato affidato all’attore sulla cresta dell’onda hollywoodiana, Jacob Elordi.
Leonard è uno stimato documentarista afflitto da un cancro incurabile che, negli ultimi giorni di vita, affida le sue memorie a una piccola troupe di ex allievi per registrare una video intervista che possa essere depositaria dei suoi racconti.
Sfacciato, spietato, ribelle. Leonard ha costruito la sua vita sulla menzogna, al punto di non riconoscere più ciò che è la realtà dalla fantasia che egli stesso ha creato attorno a sé. Vicino alla fine, si trova a fare i conti col percorso che l’ha condotto sino a quel punto.
Da un’intervista che aveva come scopo quello di raccontare Leonard regista, il protagonista si trova infatti ad aprire mente e cuore al racconto dell’uomo aldilà della macchina da presa e di tutti quegli episodi della vita che ha sempre taciuto, spesso anche a se stesso.
Paul Schrader utilizza tutta la sua lucidità e spietatezza registica per raccontarci la storia di un uomo che, come tanti, è lacerato dalle contraddizioni che egli stesso ha costruito attorno a se ma che, col fine dei suoi giorni e una grave malattia che lo sta dilaniando, sembrano smaterializzarsi e assumere una nuova verità. Non è un caso infatti che Leonard sia un noto documentarista che testimonia con limpidezza attraverso i suoi lavori gli orrori del mondo ma sia egli stesso imprigionato nella fortezza di menzogne che ha costruito attorno a sè: verità apparente contro autentica menzogna.
La storia alterna continuamente flashback e flashforward, trasformando l’estetica fotografica dell’opera, che passa dal bianco e nero a una tavolozza di colori desaturati, creando così un quadro visivo distaccato e misterioso
La macchina da presa diventa l’unica depositaria della realtà in quanto lo stesso protagonista dichiara che “solo di fronte a un obiettivo è in grado di dire la verità”: quella che però sembra l’ultima confessione di un uomo che vuole togliersi dei pesi dalla coscienza, potrebbe solamente trattarsi di un delirio psicotico indotto dai farmaci che egli assume giornalmente così come sostiene la moglie Emma, la quale nel corso di tutto il film instilla nei personaggi e negli spettatori stessi il dubbio che i suoi racconti non siano reali, ma frutto della sua fantasia. Il cinema dunque può eternare un frame ed essere strada per la verità ma allo stesso tempo anche menzogna e inganno.
Richard Gere interpreta magistralmente l’ambiguità e la parcellizzazione caratteriale di Leonard, restituendo allo spettatore il ritratto di un uomo calcolatore e spietato. Sul punto di affrontare il baratro della morte, Leonard mostra tutte le sfumature delle sue fragilità a favore del racconto umano. Meno incisiva la performance di Elordi, il quale non riesce a restituire il dramma interiore del protagonista creando così una dicotomia sostanziale tra la sua esecuzione e quella di Gere.
Non è casuale infine che un cineasta inesorabile e dall’estrema lucidità narrativa come Schrader abbia scelto di raccontare questa storia attraverso una lente metacinematografica che punta l’attenzione sulla riflessione del figura del regista, denunciandone la mitizzazione a favore di una disamina psicologica ed emotiva che mette in luce tutte le sue fragilità umane, così come quelle di Leonard che assumono una propria verità solo se condivise.
Così come un Velo di Maya, il cinema diviene così fondamentale strumento dell’uomo per distinguere sogno e fantasia, realtà e finzione e allo stesso tempo, porci nella condizione di interrogarci sulla caducità delle nostre azioni di fronte all’inesorabilità della vita stessa.