Old Henry: intervista a Tim Blake Nelson e Scott Haze, protagonisti del film western presentato a Venezia 78, e al regista esordiente Potsy Ponciroli
In attesa di conoscere la data di uscita nelle sale italiane di Old Henry, di cui potete leggere la nostra recensione in anteprima dopo la presentazione alla 78° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, abbiamo avuto il piacere di intervistare Tim Blake Nelson, Scott Haze e Potsy Ponciroli.
La nostra intervista ai protagonisti e al regista di Old Henry.
Old Henry: intervista a Tim Blake Nelson, Scott Haze e Potsy Ponciroli durante Venezia 78
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Cosa vi ha attirato nella sceneggiatura di Old Henry?
Scott Haze: Avevo appena finito di girare Jurassic Park ed è arrivata la chiamata di Tim (Blake Nelson NdR), ho letto il copione e ho capito che avesse qualcosa in più del solito western. Abbiamo lavorato a sette, otto, nove film insieme a partire da Child of God, dovrebbe avere lui il conteggio completo, ed è uno dei pochi nel settore con cui posso dire di avere un’amicizia, ne abbiamo passate così tante insieme.
Tim Blake Nelson: Stavo preparando la cena per la mia famiglia e ho controllato le mail sul telefono. Qualcuno mi proponeva di interpretare Henry in un film intitolato Old Henry, ho anche un figlio che si chiama Henry ma la cosa che mi ha incuriosito di più era che per la prima volta mi chiedevano di interpretare un personaggio “vecchio”. Così ho letto il copione e ho iniziato a sentire Potsy al telefono per capire come volesse girarlo.
Cos’è che rende Old Henry speciale oggi rispetto agli altri film western?
Scott Haze: La maggior parte dei film che ho girato era basata su romanzi, qui invece c’è Potsy che utilizza la sua immaginazione e crea. Ha avuto un approccio molto artistico quasi voyeuristico, con tutte quelle sequenze lunghe invece di intervenire continuamente al montaggio. È stato molto divertente da girare, io sono nato in Texas e da bambino ho sempre sognato di finire dentro un film western, ho amato Tombstone e avevamo nella crew lo stesso make-up artist, David Atherton. È stato veramente fantastico!
Tim Blake Nelson: Ci sono almeno due aspetti da sottolineare. Uno è la metafora Covid nascosta nel genere. Un padre cerca di proteggere un figlio dal mondo esterno, allontanando il più possibile dal virus della violenza, ma senza successo alla fine. Un atto di compassione lo porta a salvare uno sconosciuto colpito da un colpo di pistola, una vittima di quella violenza che ha ripudiato per difendere suo figlio e anche se stesso e che finisce per far entrare in casa sua. Il secondo è l’esplorazione della zona grigia tra bene e male. Il mio personaggio è in teoria un eroe che finisce per diventare il fuorilegge che aveva nascosto insieme alle sue armi. È la rappresentazione di un compromesso, che ci ricorda che la realtà è molto più complessa del bianco e del nero.
E cosa lo rende ancor più speciale per un americano?
Scott Haze: Perché racconta come l’America è stata creata, siamo un paese relativamente giovane e non abbiamo la cultura dei paesi europei. È un racconto tragico delle origini ma ha anche qualcosa di meraviglioso, c’era una connessione diversa tra le persone che si guardavano in faccia e non erano incollate allo smartphone con tutte le sue distrazioni.
Tim Blake Nelson: Credo che ogni americano abbia un rapporto speciale con questo genere perché è il genere americano per eccellenza, la forma cinematografica per antonomasia degli Stati Uniti. Ci sono le pistole e i fucili, che sono gli strumenti con cui noi americani abbiamo conquistato i nostri territori, c’è una libertà strettamente connessa all’individualismo, che poi è il motivo per cui molti – ma non io – ritengono pericolosa la parola socialismo. È un genere che rappresenta un po’ quello che per gli italiani è il Rinascimento.
Non ci sono donne in questo film e al giorno d’oggi questa è quasi una rarità se non una colpa.
Tim Blake Nelson: Per Henry la presenza-assenza della moglie scomparsa è molto forte, deve crescere il loro figlio e in un certo senso non deluderla. Ora non voglio fare troppi giri di parole per evitare di dire che questo film è un’ammucchiata di uomini che sparano con le pistole, ma credo che un pubblico femminile possa goderlo allo stesso modo in cui io posso divertirmi con Sister Act o Thelma & Louise.
Potsy Ponciroli: Lo so, mia moglie mi ha bastonato per settimane su questa cosa! Le ho promesso che i miei prossimi film saranno pieni di donne. Il problema è che questo è un film sul rapporto padre-figlio particolare e una figura femminile avrebbe creato troppi problemi. Il personaggio di Tim deve svolgere anche la funzione di madre al meglio delle sue possibilità, anche perché si tratta di un cast estremamente ridotto.
C’entra il budget molto ridotto che hai avuto a disposizione? Tolto il minutaggio in realtà non sembrerebbe un film low-cost.
Potsy Ponciroli: Non posso dirvi la cifra esatta ma era estremamente contenuto. Ci siamo riusciti grazie all’ambiente che si è creato, abbiamo girato d’inverno con giornate estremamente brevi e dense e siamo diventati una piccola famiglia. Nel tempo libero la crew preferiva rimanere sul set per mangiare e riposarsi piuttosto che tornare in hotel. Ognuno ha voluto metterci del suo come se si trattasse del suo film, è stato incredibile. Nonostante lo storyboard coprisse il 90% del film, questo clima ci ha portato ad essere estremamente ispirati sul set, cosa che penso sia finita nel film. Sicuramente devo ringraziare John Matysiak (direttore della fotografia NdR) con cui lavoro da tanto tempo e continua ad essere preziosissimo.
Cosa c’è dietro l’angolo per Scott Haze?
Scott Haze: Tra poco uscirà Antlers, un film prodotto da Guillermo del Toro e diretto dal bravissimo Scott Cooper, due persone eccezionali con cui mi sono veramente trovato a mio agio. Nel 2022 invece sarà invece il momento di Jurassic World: Dominion, di cui posso soltanto dirvi che lo amerete tanto quanto l’ho amato io. Chi da piccolo non ha mai desiderato di essere sullo schermo insieme ai dinosauri? C’è il ritorno di Sam Neill, con cui abbiamo condiviso anche parte della pandemia per le riprese del film. Credo di aver già detto troppo e sento la Universal alle calcagna.
C’è Guillermo del Toro anche nel futuro di Tim.
Tim Blake Nelson: In effetti sembrerebbe così e credo perché si tratti di uno di quei registi, come i fratelli Coen, che oltre ai divi ricercano caratteristi come me, Michael Stuhlbarg, William Macy, Philip Seymour Hoffman. Guillermo mi ha offerto la parte per Pinocchio la sera in cui a Venezia ho ritirato il premio vinto da Joel e Ethan, è un’interpretazione molto cupa e adulta sul fascismo, la sua violenza e la sua pericolosità che è presente già in suoi molti altri film. Con questo fanno tre collaborazioni in poco più di un anno, perché ho un cameo in Nightmare Alley e sarò il protagonista in un episodio di una serie antologica che sta sviluppando per Netflix con tanti registi diversi. Io ne sono onorato ovviamente e spero sempre di essere il colore raro per dei grandi artisti.
Per te Potsy c’è un altro western?
Potsy Ponciroli: Onestamente, non lo so. Ho letto diversi progetti, ce n’è uno che mi intriga molto, ma non so se ora sia il momento giusto per girarne un altro. Sicuramente se si presentasse in futuro l’occasione lo farei senza problemi perché è stata una bellissima esperienza.