Old Henry recensione film di Potsy Ponciroli con Tim Blake Nelson, Scott Haze, Gavin Lewis, Trace Adkins e Stephen Dorff alla Mostra del Cinema di Venezia 78
Tim Blake Nelson l’ha definito un micro e falso western. Il modesto budget a disposizione di Old Henry lo confermerebbe ma non rispecchia la sincerità e la genuinità che il film di Potsy Ponciroli sprigiona nella sua compostezza. Novanta minuti di una storia che prova a immaginare quale sia la quotidianità dietro alle leggende del remoto West, sfruttandone gli stilemi e le pistole ma cercando anche di andare oltre.
Il regista americano cerca di restituire un tempo difficile, incerto sui confini tra bene e male, in cui la libertà passava per la velocità con cui estrarre un’arma da fuoco e neutralizzare ogni possibile minaccia. Chiunque può sentirsi uno sceriffo, magari ammazzando il precedente e rubandogli il distintivo. A grandi praterie corrispondo grandi solitudini e in una di queste, una piccola fattoria isolata, sembra esserci qualcosa in controtendenza. Un padre e un figlio si sfiancano per portare avanti una fattoria nel bel mezzo del nulla, recitano versi della Bibbia e sembrano possedere solo picconi, carriole e bestiame.
Uno stridore succulento, pieno di questioni irrisolte, che con il passare di minuti inizia a farsi sempre più disturbante e pericoloso. Sul volto del vecchio Henry (Tim Blake Nelson) si legge più di quello che si dice in scena e si scivola inesorabilmente, forse per l’ultima volta, verso la violenza come livella degli affari tra uomini. C’è un bel pezzo di America in tutto questo, una origin story in miniatura della complessa società che oggi occupa quegli stessi territori che dimostra come il lavoro di Ponciroli riesca a toccare corde più profonde di quelle utilizzate per impiccare fuggitivi e malfattori.
È l’affermazione della linearità come direzione da seguire per riuscire a dare spessore e sostanza anche alle storie apparentemente. In Old Henry la naturalezza genera sana complessità, facendo allineare testo, sottotesto e paratesto in costante armonia. Cast, fotografia, montaggio puntano tutti nella stessa direzione senza mettersi in proprio facendo in modo che diversi film possano coesistere in una sola opera. Si può scegliere indifferentemente di concentrarsi sul rapporto padre-figlio, sul passato che finisce sempre per bussare alla porta, sul tramonto di un mondo e delle sue regole o sulla tensione che monta quando il tuo recinto viene minacciato da ambigui uomini a cavallo, ma si finisce sempre per rimanere con una gradevolissima sensazione sotto la lingua.
Old Henry, con calma e senza strafare, sferra un ottimo colpo al genere cui dovrebbe rientrare, sfruttandone i limiti e le regole. A dimostrazione del fatto che nelle asperità c’è sempre spazio per una sorprendente creatività.