On Air recensione del documentario di Manno Lanssens presentato alla Festa del Cinema di Roma
Conoscere il mondo oggi è estremamente più facile rispetto al passato. Il flusso di informazioni che si può intercettare senza spostarsi dalla propria città è smisurato. C’è però chi queste informazioni se le va a cercare, le mette insieme e le rende fruibili a tutti partendo da un lavoro sul campo ancora oggi insostituibile.
E’ quello che ha fatto Manno Lanssens riorganizzando tutto il prezioso materiale raccolto nel 2015 durante il suo viaggio in Burundi, alla ricerca di una comprensione di una nazione falcidiata da violenza e guerra civile. Seguendo Robert Rugurika, direttore della Radio Publique Africaine (RPA), una delle poche voci indipendenti capace di farsi carico della realtà delle cose nel Paese africano, ripercorriamo insieme a lui le tappe della tragedia istituzionale in cui lo stato è precipitato. Da un’indagine su un triplice omicidio ai danni di una realtà missionaria italiana con implicazioni di alte cariche dello Stato, la voce fuori dal coro dell’emittente libera diventa un problema da risolvere al più presto: la radio viene chiusa senza mezzi termini e lo stesso Rugurika arrestato, rilasciato e alla fine costretto a lasciare il Paese per evitare la morte.
Il regista belga ha dovuto fare i conti con un materiale sensibile, espressione di un momento storico per i burundesi, che si presta a diventare in alcune su parti un discorso sulla libertà d’espressione e la necessità di alzare la voce costi quel che costi. In fondo, come viene specificato durante il film, possono uccidere il gallo ma non il suo canto che diventa speranza per tutti. Lo stesso Lanssens, costretto ad abbandonare il “campo” per motivi politici e della sua incolumità, consegna questo documentario al pubblico per non disperdere il messaggio della RPA e mantenere viva la fiammella della speranza, lasciando riecheggiare il canto dal Burundi in tutto il mondo.