Only Murders in the Building 2 recensione seconda stagione serie TV ideata da Steve Martin e John Hoffman con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez, Shirley MacLaine e Cara Delevingne
Dopo aver risolto il caso di Tim Kono, Charles (Steve Martin), Oliver (Martin Short) e Mabel (Selena Gomez) sono in procinto di godersi la tranquillità e la fama dell’Arconia, ma il ritrovamento del cadavere di Bunny (Jayne Houdyshell), arcigna amministratrice del palazzo, nell’appartamento di Mabel, che viene accusata formalmente come principale sospettata, fa presagire che c’è ancora un assassino in giro. La detective Williams (Da’Vine Joy Randolph) suggerisce ai tre investigatori in erba di mettere da parte microfono e indagini per trovarsi un nuovo hobby. Ma, una serie di indizi – collegati al passato torbido di suo padre – fa capolino nell’appartamento di Charles e sembra ormai chiaro che il killer stia cercando di incastrare i nostri protagonisti…
Only Murders in the Building 2: una seconda stagione più consapevole
Nonostante sia arrivata su Disney+ in sordina lo scorso fine agosto, la prima stagione di Only Murders in the Building è diventata rapidamente un fenomeno per il suo stile unico che unisce brillante comicità, crime e podcast. Una serie che vanta un trio di ottimi interpreti, con il ritorno sullo schermo di Steve Martin, in coppia con Martin Short e protagonisti di alcuni spassosi momenti e battute sugli anziani uomini bianchi, le loro preferenze e le loro idiosincrasie. Selena Gomez è, invece, una ventata di aria fresca e battute taglienti, una millennial che veste vintage e nasconde un passato doloroso. E tutto intorno a loro un intero palazzo di inquilini strampalati, scorbutici e a tratti inquietanti, ma che rendono l’Arconia un posto molto più interessante.
Only Murders in the Building è una serie che sfrutta il contesto metatelevisivo con grande maestria, intrecciando il format – sempre più in voga – dei podcast con quello seriale e quello teatrale (non dimentichiamoci che sia Charles sia Oliver sono legati al mondo della recitazione) e costruisce un intricato ed elegante gioco che diverte e intrattiene il pubblico: “Si vede che siamo alla seconda stagione” dice Oliver in uno dei primi episodi visti in anteprima, facendo sembrare quasi che gli stessi personaggi siano consapevoli di star vivendo una finzione, sebbene non possano infrangere il tacito patto della sospensione dell’incredulità tra pubblico e interpreti.
Questo risulta evidente anche nel caso di Mabel, a cui la seconda stagione regala un nuovo ricordo sanguinoso da aggiungere alla sua lista di orrori del passato. Come dirà ad Alice (Cara Delevingne), curatrice di una galleria e new entry della stagione, le sembra di essere invischiata senza via d’uscita in un circolo continuo di drammi e sofferenza, incapace di spezzarlo. E, come altre eroine prima di lei, anche Mabel sente ora la necessità di riprendere in mano le redini della sua storia e interrompere questo ciclo infinito di traumi. Non sfugge così il sottile riferimento a quanto sia difficile interpretare un ruolo femminile nel mondo della recitazione e quanto spesso le protagoniste siano soggette a traumi continui e violenze prima di poter evolvere. Mabel si rende così portavoce di un’intera categoria di personagge a cui, troppe volte, gli autori non hanno dato giustizia.
Un tuffo nel passato e ancora New York protagonista
Se nella prima stagione, i flashback erano concentrati sul passato di Mabel e Tim Kono, ora a essere messi sotto la lente d’ingrandimento sono i segreti di Charles e di suo padre, Hayden Sr., donnaiolo incallito, finito in prigione negli anni ’50. La sua figura e le sue passate relazioni sono parte del mistero che ruota intorno alla morte di Bunny e lo collegano a sua madre, interpretata da Shirley MacLaine, in formissima sullo schermo e special guest dell’episodio 3.
La serie riesce anche a mostrare benissimo la doppia anima di New York, da un lato quella ancora legata agli sfarzi del passato, con antichi e signorili palazzi dell’Upper East Side, con i concierge in elegante livrea e gli stucchi alle pareti, dall’altro la New York millennial, che vive sui social e di social si nutre. Complici tutti questi elementi, la seconda stagione di Only Murders in the Building si riconferma un’ottimo prodotto, che sa giocare con i suoi format, il suo pubblico e i suoi interpreti in maniera brillante e sopraffina.