Open Arms – La legge del mare recensione film di Marcel Barrena con Eduard Fernández, Dani Rovira, Anna Castillo, Sergi López e Melika Foroutan
La giornata di apertura della 16° edizione della Festa del Cinema di Roma si è svolta senza dubbio sotto l’insegna del film biografico. Se The Eyes of Tammy Faye mette in scena la vera storia del singolo, Open Arms – La legge del mare (Mediterráneo), film diretto da Marcel Barrena con Eduard Fernández, Dani Rovira, Anna Castillo e Sergi López, porta sulle spalle il peso di una vicenda collettiva.
Il film segue le imprese di una squadra di bagnini spagnoli che nel 2015, dopo aver visto le tragiche immagini dei naufragi tra le coste turche e quelle dell’arcipelago greco, decidono di dirigersi sull’isola di Lesbo per aiutare le forze locali. Tuttavia, al loro arrivo, trovano un territorio ostile, che vede di cattivo occhio l’intervento di persone estranee volenterose di portare attenzione (principalmente mediatica) sulla vera e propria crisi umanitaria che si sta consumando nel Mediterraneo, il più delle volte invisibile al pubblico occidentale.
Nonostante l’iniziale diffidenza e ostracizzazione da parte della popolazione e, soprattutto, delle forze dell’ordine, queste imprese, che sembrano più grandi dei pochi volontari disposti a salvare le vite di centinaia di profughi, raggiungeranno dimensioni tali da portare alla creazione dell’ente ONG Open Arms, oggi ente di spicco per il soccorso di naufraghi nel piccolo, ma comunque implacabile Mar Mediterraneo.
Dato che è tratto da una storia realmente accaduta e, in parte, documentata, il film non nasconde di certo colpi di scena inaspettati. La forza della pellicola, forse, risiede proprio nella sua natura quasi documentaria, pur non scendendo mai eccessivamente in tale campo. Riesce, piuttosto, a mantenere un ritmo incalzante e a proporre il suo contenuto con una dosata drammaticità, mai esasperata più del dovuto. C’è una sorta di equilibrio che riesce a non far scivolare la pellicola né in campo di denuncia sociale blanda e banale, né in un eccessivo distacco dalle vicende.
Merito, questo, della regia di Marcel Barrena, decisamente abile nel gestire paesaggio e personaggi, fondendoli tra scogli, acqua e cielo e rendendoli parte di un tutt’uno naturale estremamente affascinante, anche attraverso delle splendide inquadrature che rasentano la mossa superficie del mare. Una menzione speciale va anche al comparto sonoro, dal commento musicale firmato da Arnau Bataller (forse non esattamente originale, ma comunque molto suggestivo quando legato alle immagini) al missaggio sonoro, che riesce a scandire la narrazione almeno quanto le parole (se non, a volte, in modo più convincente).
Molti potranno incolpare il film di un’eccessiva occidentalizzazione del punto di vista. Siamo sempre nei territori dell’idea del “salvatore bianco” che tanto va di moda in questo periodo. Evidentemente, il film è legato più alle vicende del soccorritore che del soccorso, ma, dopotutto (come viene anche sottolineato da uno dei personaggi della pellicola) l’opinione pubblica occidentale inizia a vedere con preoccupazione qualcosa solo quando un punto di vista occidentalizzato di quelle vicende raggiunge e irrompe nel quotidiano.