Palazzina LAF recensione film di Michele Riondino con Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario e Michele Sinisi [RoFF18]
Quando un attore decide di mettersi dietro la macchina da presa, il panorama della critica e dell’opinione pubblica, tendenzialmente, si trova ad approcciare l’opera con una buona dose di scetticismo.
Questa volta, siamo abbastanza sicuri che, una volta abbandonata la sala, la gran parte degli spettatori sarà stata piacevolmente colpita dal primo lavoro da regista di Michele Riondino.
L’attore, autore e ormai regista originario di Taranto, pesca dalla propria esperienza personale per trasformare in cinema un fatto ormai parte della recente storia italiana. Il fenomeno del “mobbing”, spesso raccontato come una lontana leggenda che poco ha a che fare con i reali problemi della classe lavoratrice nostrana, qui diviene protagonista assoluto della pellicola.
Riondino si piazza dietro, ma anche davanti alla macchina da presa, prendendosi la responsabilità di interpretare il personaggio principale di questa vicenda tutta italiana.
Caterino è un operaio dell’acciaieria ILVA di Taranto, che, per una serie di motivi che vi lasciamo scoprire durante la proiezione, si ritroverà all’interno della fantomatica Palazzina LAF, nella quale vige una modalità particolare di lavoro.
A prescindere dal fascino del tema trattato, stupisce la capacità di Riondino di individuare immediatamente un preciso stile di rappresentazione cinematografica: la Puglia di fine anni novanta assomiglia a tratti – tanto nell’ambientazione, quanto nelle modalità con cui ci viene mostrata – all’immaginario western che caratterizzò le produzioni statunitensi e italiane nel secondo novecento.
Riondino sfrutta parte della preziosa eredità che il nostro cinema gli fornisce ma, parallelamente, non ha paura di pescare a piene mani dai presupposti filmici dell’industria statunitense, dalla quale prende in prestito la capacità di mostrare una questione sfaccettata e faticosa ad un’ampia fetta di pubblico.
Palazzina LAF, difatti, non è un film complesso da comprendere, tutt’altro, è proprio grazie all’accessibilità della sua forma che conquista la possibilità di affrontare efficacemente un tema complesso e potenzialmente deleterio per l’attenzione del pubblico generalista.
Dulcis in fundo? La qualità degli interpreti. A dominare il centro della narrazione è senza dubbio la coppia Germano–Riondino, sulla quale il film costruisce gran parte delle sue dinamiche più gustose. Tuttavia, non crediate che il resto del cast sfiguri accanto a loro: Riondino seleziona con cura le proprie maschere, che contribuiscono – chi più, chi meno – ad ottenere una messa in scena credibile e sempre frizzante.
Palazzina LAF racconta con garbo e brio lo spinoso tema del mobbing, sullo sfondo di un’Italia anni ’90 che forse è meno lontana di quanto pensiamo.