Paura nella città dei morti viventi recensione del film scritto da Dardano Sacchetti e diretto da Lucio Fulci con Christopher George e Catriona MacColl
Tra i registi della tradizione nostrana che, rivoluzionando i generi più vari del cinema popolare, meritano il titolo di maestro, probabilmente Lucio Fulci è il più grande. Nell’arco di un trentennio, Fulci è passato alla storia come “il terrorista dei generi”, ha diretto più di sessanta film che spaziavano dalla commedia di Totò o Franco e Ciccio al musicarello (non a caso fu proprio Fulci a lanciare nell’Olimpo Adriano Celentano, scrivendo alcuni dei suoi più grandi successi come 24.000 baci), per arrivare al thriller e allo spaghetti western.
Malgrado la filmografia variopinta e l’abilità tecnica applicata in ogni singola pellicola, anche quella meno ispirata (la commedia-sexy Le massaggiatrici, per fare un esempio), ciò per cui Fulci è principalmente ricordato è la deriva horror-splatter. Tra i titoli più celebri e avvincenti del filone si ricordano Zombi 2 (sequel apocrifo di Dawn of the Dead di Romero), il repellente Lo squartatore di New York, Manhattan Baby e Aenigma. Ma è con la cosiddetta Trilogia della Morte, composta da Paura nella città dei morti viventi, …E tu vivrai nel terrore! – L’aldilà e Quella villa accanto al cimitero, che il regista romano ha fatto toccare all’horror all’italiana i suoi livelli più elevati.
Fulci era ancora impegnato sul set del notevole poliziottesco Luca il contrabbandiere (1980) quando fu avviata la produzione di quello che sarebbe diventato il primo capitolo della Trilogia della Morte. Affidato il compito di raccordare le riprese finali di Luca il contrabbandiere al fedele collaboratore Roberto Giandalia, il regista capitolino poté concentrarsi sulla sceneggiatura di Paura nella città dei morti viventi (1981) di Dardano Sacchetti, già responsabile dello script della sua prima incursione nell’orrore, Zombi 2 (1979). Inizialmente, il film doveva intitolarsi semplicemente La Paura, ma la casa di produzione Dania Film convinse Fulci a cambiare il titolo in una sorta di collegamento concettuale con il precedente film horror del regista, tentando di replicarne il successo commerciale.
Paura nella città dei morti viventi: sinossi
La pellicola ha inizio con il suicidio del reverendo Thomas (Fabrizio Jovine), pastore della spettrale e nebbiosa cittadina di Dunwich, la cui morte provoca il risveglio di un’orda di morti viventi che scatenerà l’inizio di una spirale di delitti sanguinosi, arrestabile solo con la distruzione della tomba del prete maledetto.
Una vita produttiva controversa per il cult di Lucio Fulci
Le riprese di Paura nella città dei morti viventi hanno coperto un arco temporale di otto settimane tra i lugubri esterni di Savannah (in Georgia) e i teatri di posa di Roma, ma la lavorazione fu controversa: Lucio Fulci non ebbe buoni rapporti con alcuni membri del cast (soprattutto con la star del western Christopher George) per la sua tendenza ad affibbiare soprannomi tanto scherzosi quando dispregiativi. La tensione sarebbe sfociata in protesta durante le riprese della celeberrima scena della pioggia di vermi: leggenda vuole che gli attori coinvolti nella sequenza furono colti da crisi di panico e che qualcuno introdusse una manciata di vermi nella borsa di tabacco di Fulci, il quale lo fumò con conseguenti danni alla salute. Inoltre, la troupe ebbe problemi legati anche alle sequenze iniziali ambientate in un cimitero, poiché questa aveva iniziato a disseppellire illegalmente cadaveri.
Ciò non impedì il successo della pellicola, più tiepido in patria ma folgorante all’estero, dove non tardarono l’etichetta di cult movie e le rigidissime restrizioni censorie per le sue immagini violente. In Germania, ad esempio, il film venne distribuito con un minutaggio ridotto nei momenti più scabrosi.
Paura nella città dei morti viventi: uno zombie movie nel segno di Lovecraft
Paura nella città dei morti viventi è un deciso passo avanti per la filmografia orrorifica fulciana rispetto al già ottimo Zombi 2. Lucio Fulci e Dardano Sacchetti costruiscono una trama massiccia attorno allo scheletro dello zombie movie, inserendo la psicanalisi, la realtà onirica e la dicotomia simbiotica tra vita e morte e tra luce e oscurità, ben espressa dalla scena della donna sepolta viva, come temi avvincenti della pellicola.
Particolarmente sovversiva è invece l’idea del prete che opera dietro la barbarie: l’ancestrale rito per risvegliare i morti, traslato dalla tradizione pagana a quella cristiana, serve a rimarcare il concetto del male radicato nell’umano, che va ben oltre l’idea stessa di credo religioso o civiltà.
Lo sguardo e gli occhi, sempre messi in primo piano impietosamente, sono fondamentali per lo svelamento degli stati d’animo, fatti poi deflagrare nel terrore e nella disperazione con le spettacolari scene splatter della pellicola, tra lacrime di sangue, organi rigurgitati e cervelli perforati da trapani.
La paura, come da titolo, è la vera protagonista della vicenda. Che sia la paura della morte o quella dell’ignoto tanto cara a H. P. Lovecraft, Fulci la coglie attraverso l’obbiettivo della camera da presa come emozione basica che soffoca la psiche ma fomenta al contempo l’impulso rettiliano di sopravvivenza. Ed è nella paura che risiede la promessa, fatta e mantenuta dal film, di un’esperienza visiva potente e viscerale.