Per Lucio recensione film documentario di Pietro Marcello scritto da Pietro Marcello e Marcello Anselmo con Umberto Righi e Stefano Bonaga
Il profumo di quella Bologna e di quell’Italia
Si spengono le luci nella sala principale del Cinema Arcobaleno di Milano, il grande telo bianco riflette le immagini del film documentario dedicato alla grande carriera di Lucio Dalla. Ci assale all’improvviso il profumo di quella Bologna e di quell’Italia che si lascia alle spalle il secondo conflitto mondiale e si avvia verso quel periodo di irrefrenabile vivacità e consumo, il tutto condito da quella incoerenza che da sempre caratterizza il nostro paese. Sono esattamente i messaggi che Lucio ci invita ad osservare tramite il canto dei suoi testi.
“Lucio si è fatto da solo”, sono queste le parole di Tobia (Umberto Righi), suo impresario e del filosofo Stefano Bonaga, suo amico di infanzia. Era una persona comune, non aveva l’aria della star, quello che però lo differenziava da tutti gli altri è la sua smisurata capacità di etichettare il cambiamento di quell’Italia e della sua città con le parole giuste. Amava cantare degli emarginati dal consumismo, della classe dirigente ma non solo, anche della classe operaia che in quel cambiamento così drastico da Italia contadina ad Italia operaia andava rivoluzionando un intero modo di vivere e di vedere la vita, anche grazie all’attività dell’industria automobilistica Fiat. Proprio da lì fa da specchio la Mille Miglia, corsa automobilistica con i suoi piloti/eroi.
Lucio ci raccontava anche e soprattutto della sua Bologna, una città in cui poco prima s’avvertiva il profumo d’uva e di coltivazioni e per questo diversa da tutte le altre città industrializzate, poi all’improvviso s’omologa anch’essa, perdendo tutte le tracce di quella naturalezza che la caratterizzava fino a poco tempo prima. Non n’era entusiasta Lucio, ma ci aveva imparato a convivere e poi lui stesso ha affermato che quando perdeva la pazienza amava anche andarsene da Bologna, poi la lontananza da casa e l’esplorazione di nuove terre e culture gli avrebbero addolcito ancor di più il suo ritorno. Un tipo comune ma particolare Lucio, incredibilmente apprezzato molto di più dopo la sua morte come testimoniato per l’appunto dai suoi due grandi amici Tobia e Stefano.
Per Lucio: le musiche
Commentare sotto l’aspetto tecnico un film documentario non è mai semplice. Tendenzialmente s’utilizzano inquadrature sobrie, un montaggio che incuriosisca lo spettatore e lo trattenga davanti allo schermo per tutta la durata del film, ecc.… In questo caso per ciò che riguarda le colonne sonore non c’erano dubbi, dovevano essere usate obbligatoriamente le canzoni di Lucio, la parte difficile era capire quale usare, quando e perché. Proprio qui risiede la bravura di tutti i componenti del cast tecnico dedicati al suono a partire ovviamente dal regista di Martin Eden Pietro Marcello, capace non solo di fondere visivo con uditivo ma molto abile nel girare e soprattutto comporre un documentario dal quale trasparisca tutto ciò che era Lucio Dalla: magia, semplicità, naturalezza, genio ed anche un pizzico d’esuberanza.
La fortuna dell’incontro con Roberto Roversi
Roberto Roversi nasce a Bologna nel 1923. Nel dopoguerra apre una libreria antiquaria Palmaverde a Bologna nella quale lavorerà per circa 60 anni. Tra il 1955 ed il 1959 dirige insieme a Pier Paolo Pasolini la rivista letteraria Officina, un pilastro della cultura italiana del secondo dopoguerra. Serio e rigoroso Roversi fu una figura fondamentale nella scena culturale e politica italiana di quegli anni. I suoi testi erano pieni e carichi delle trasformazioni e ancora contraddizioni italiane del tempo e ciò che li renderà ancor più opera d’arte sarà la voce profonda e densa di Lucio Dalla. Tobia e Stefano commentano l’incontro dei due dicendo: “Lucio è stato fortunato ad incontrare Roversi e Roversi è stato fortunato ad incontrare Lucio”. Erano due figure così complementari che insieme hanno finito per diventare storia e arte italiana ma non solo.
Il film nel complesso ed i ruoli di Tobia e Stefano
L’intervista e la presenza di due figure così vicine a Lucio durante il corso di tutta la sua vita è stato il vero colpaccio della costruzione di questo documentario. Tobia e Stefano ne parlano in una sala da pranzo a dir poco spartana, davanti a loro un piatto di tagliatelle fumanti e dalle loro bocche fuoriescono parole profonde capaci di farci capire davvero chi fosse Lucio, di farci ridere di lui ma soprattutto emozionare, non mancheranno anche sfottò e critiche alla buona nei confronti dell’artista amico di una vita. Sono proprio le loro voci che amalgamano tutte le immagini, dalla Mille Miglia a Bologna, da Lucio che sale su un treno ai fotografi stesi sulla pista che rischiano la vita pur di scattare quella fotografia.
Per un amante di Lucio Dalla ovviamente la visione è consigliata ma il nostro invito si estende anche a coloro che non conoscono bene quale sia stata la vita di Lucio e che uomo fosse. Un film che aggrega tanti aspetti, dall’Italia del dopoguerra a quella moderna senza o quasi alcun cenno a quella post-moderna, una scelta probabilmente voluta ed azzeccata.