Siamo di fronte all’ennesima trasposizione di un’opera di Stephen King, uno degli scrittori più prolifici dei nostri tempi. Vediamo la recensione di Pet Sematary.
Stephen King ha segnato definitivamente il genere horror e thriller, sia coi suoi libri e sia con le trasposizioni da questi.
Pet Sematary è uno dei romanzi più importanti del Re dell’horror, poiché ispirato ad eventi reali, vissuti direttamente dallo scrittore.
Il film inizia col trasferimento di Louis Creed (interpretato da Jason Clarke), il quale da Boston, si trasferisce nella cittadina di Ludlow, nel Maine, insieme a sua moglie Rachel (Amy Seimetz) ed ai figli Ellie e Gage.
La casa in cui si trasferiscono si trova vicino ad un bosco, dove alcuni bambini vanno, armati di maschere, per compiere certi rituali. Nel bosco si trova il cimitero degli animali, ma anche qualcosa di estremamente inquietante: un luogo sacro indiano, nel quale quello che viene seppellito, torna dalla terra.
La storia raccontata da King non è un semplice horror, ma una riflessione importante su tematiche delicate, come la morte che procede.
Il romanzo di King era stato già trasposto cinematograficamente con il film Cimitero Vivente, del 1989, diretto da Mary Lambert.
La nuova trasposizione è diretta da Kevin Kölsch e Dennis Widmeyer e curata nella sceneggiatura da Jeff Buhler.
La trasposizione del 1989 era piuttosto fedele al romanzo di King, cosa che non possiamo dire di quest’ultima versione del 2019: la prima parte della pellicola è ancorata al romanzo, mentre nella seconda parte Buhler prende diverse “licenze poetiche” che snaturano la storia di King, rendendolo sì, più vicino agli horror di oggi, ma proprio per questo meno incisivo.
Il film è ricco di jump scare, tecnica utilizzata (a volte troppo) negli horror moderni, soprattutto con l’apparizione del gatto, che dà allo spettatore dei facili spaventi.
Questa nuova trasposizione del capolavoro di King viene privata della matrice filosofica presente nel libro, regalando alla pellicola una visione più “irriverente” allo spettatore.
Quello che vediamo è un classico film horror moderno, ricco di atmosfere piene di tensioni, ma che svuota le psicologie dei protagonisti, molto evidenti sia nel romanzo e sia nella trasposizione dell’89.
Uno dei punti positivi è l’interpretazione di John Lithgow, sempre superba, tuttavia banalizzata da una sceneggiatura debole che non riesce a far affezionare gli spettatori ai protagonisti, inducendoli a seguirne le azioni senza appassionarvisi. Inoltre, tolti gli jump scare, il film non mette così paura e penalizza l’atmosfera creata su carta.
Il romanzo di King attira lo spettatore in una delle sue atmosfere più cupe ed inquietanti, con una filosofia tutta sua, mentre questa trasposizione si pone come semplice film horror, senza alcun guizzo creativo.
Le pecche della pellicola si vedono soprattutto in quei punti in cui si distacca dal romanzo, manca l’approfondimento psicologico dei personaggi e manca quella morale importante che il romanzo aveva.
Pet Sematary ha tutte le caratteristiche del moderno horror, da vedere, soprattutto, in una calda serata estiva, per avere qualche brivido. Niente di più, niente di meno.