Piccole cose come queste recensione film di Tim Mielants con Cillian Murphy, Emily Watson, Eileen Walsh e Michelle Fairley
Presentato come film di apertura alla 74esima edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, Piccole cose come queste segna il ritorno sul grande schermo dell’attore premio Oscar Cillian Murphy, che si riunisce al regista Tim Mielants (Peaky Blinders e Legion).
Il film è prodotto dallo stesso Murphy insieme a due grandi nomi di Hollywood: Matt Damon e Ben Affleck.
Ambientato nel periodo natalizio del 1985 nella piccola cittadina irlandese di New Ross, Piccole cose come queste segue la storia di Bill Furlong, un commerciante di carbone e padre di famiglia. Bill si ritrova involontariamente testimone delle violenze che avvengono nel convento della sua comunità.
Il film è tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice Claire Keegan, pubblicato nel 2021, che ha riportato attenzione su un capitolo nero della storia irlandese, quello delle Magdalene Laundries. Si trattava di istituti a gestione cattolica con il proclamato obiettivo di “riabilitare” giovani ragazze considerate immorali, che all’interno dei conventi erano vittime di abusi e violenze.
Piccole cose come queste non è il primo film a raccontare e denunciare quanto accaduto nelle Case Magdalene: nel 2002 lo aveva fatto Peter Mullan con Magdalene – che si era aggiudicato il Leone d’oro – e nel 2013 Stephen Frears con Philomena.
Bill è un uomo perbene, vive con sua moglie e le sue cinque figlie, è di poche parole e ha un’aria malinconica. La sua vita è scandita da ritmi e rituali quotidiani, come la lunga pulizia delle mani sporche di carbone a cui si dedica ogni sera quando torna a casa da lavoro. Un giorno, durante la consegna del carbone al convento, Bill assiste involontariamente agli abusi subiti dalle ragazze nell’istituto.
Le violenze perpetuate dalle suore sono solo accennate, il convento è di base un luogo inaccessibile, circondato un’aurea di oscurità e silenzio. A spiccare è la figura sinistra di Suor Mary, che sembra quasi il personaggio di un film dell’orrore, interpretata da Emily Watson, premiata alla Berlinale con l’Orso d’argento come migliore attrice non protagonista. Suor Mary si interfaccia direttamente con Bill e cerca di comprare il suo silenzio, facendo leva sull’istruzione delle figlie e sull’influenza che ha sulla comunità di New Ross.
Il film oscilla tra presente e passato, mostrando un Bill bambino, che insieme alla madre era stato accolto da una signora benestante, Mrs. Wilson, interpretata da Michelle Fairley. Ora adulto, Bill è consapevole di essere sfuggito, insieme alla madre, a una sorte simile a quella delle ragazze di questi istituti.
Nella piccola comunità irlandese regna l’omertà, ci si rifiuta di prendere coscienza di quanto accade dentro alle mura del convento e nessuno agisce: persino la moglie di Bill, interpretata da Eileen Walsh, gli consiglia di stare fuori dalla faccenda. Bill però si rifiuta di chiudere gli occhi di fronte a questi abusi: il suo vissuto non glielo permette.
Una bellissima fotografia, che riflette il clima cupo del film e le sue tematiche, fa da sfondo all’interpretazione di Cillian Murphy, che riesce a mostrare il conflitto interiore e le emozioni del suo personaggio in maniera eccellente, anche solo con lo sguardo.