Piccole donne recensione del settimo adattamento del romanzo di Louisa May Alcott diretto da Greta Gerwig con Saoirse Ronan, Florence Pugh, Emma Watson, Meryl Streep, Laura Dern e Timothée Chalamet
Esattamente come per i remake, essere figli di opere che hanno cambiato il panorama sociale di un determinato periodo storico non è mai facile. Ci vuole poco per cadere nel “già visto” o nel banale. Forse ancora più che per i remake, essere eredi di storie e racconti porta il pubblico a guardare con reticenza la nuova opera che si è venuta a creare. La situazione diventa ancora più complessa quando si è sia figli di un’opera che remake degli altri figli della stessa. In pochi sono riusciti a emergere nonostante l’enorme peso sulle spalle (ne è un esempio quel capolavoro visivo fin troppo sottovalutato che è il Macbeth di Justin Kurzel). Di conseguenza, non sapevamo cosa aspettarci da un film come Piccole donne. Difficilmente si può dire qualcosa di più dopo che sette tra “fratelli e sorelle” ti hanno preceduto. Tuttavia, Greta Gerwig è riuscita nell’impossibile, portando in sala un film fresco, divertente, tagliente, che non ci si aspetta, ma di cui avevamo estremamente bisogno.
Anche in questo adattamento di Piccole donne seguiamo la vita delle sorelle March, Meg (Emma Watson), Amy (Florence Pugh), Beth (Eliza Scanlen) e Jo (Saoirse Ronan). Quest’ultima è sempre la trave portante della narrazione, seppur venga lasciato parecchio spazio anche agli altri personaggi. Forse più di ogni altro aspetto, sono le interpretazioni a dirigere la pellicola, con delle prove attoriali di altissimo livello (la Streep regala una delle sue migliori performance degli ultimi anni), che spaziano dalla leggerezza della giovinezza fino alle difficoltà e ai traumi della vita adulta. Perché anche questo è Piccole donne, ovvero un racconto di formazione, di passaggio di età, l’arrivo della maturità, che sembra radere al suolo tutto il mondo che si era costruito intorno a noi negli anni dell’infanzia, ma che poi si scopre essere solo la diretta conseguenza della vita, con la quale dobbiamo sempre venire a patti.
Senza la Gerwig dietro la macchina da presa forse non sarebbe stato possibile riproporre con tanta potenza e attualità una storia estremamente legata all’età contemporanea. La sua regia è delicata, mai invasiva, solo con alcuni momenti nei quali si prende qualche “libertà artistica” più marcata. Questo probabilmente perché ciò che interessa portare su schermo sono le vicende di queste giovani donne, la loro volontà, la forza di carattere che le aiuta a superare ogni difficoltà in un mondo che sembra respingerle perché non le rispetta in quanto persone e artiste. Di conseguenza, sta a loro riuscire ad aggirare le “norme” sociali per ritagliarsi il loro spazio nel mondo, uno spazio nel quale possano scegliere chi essere e come vivere la propria esistenza.
La visione della Gerwig riesce a portare lo spettatore nelle peculiari atmosfere del XIX secolo, eppure a radicare profondamente la storia nel tessuto del XXI. Si assiste a uno scambio continuo tra passato e presente. Una cosa, questa, che non è solito vedere in produzioni di questo tipo (anche se non è di certo un elemento inedito del genere). Sembra quasi una fiaba, con questa casa di sole donne quasi scollegate dal mondo esterno, dove le sorelle sono anche le migliori amiche di loro stesse. Dove la figura maschile è qualcosa di “esotico”, spaventosa ma allo stesso tempo attraente. Dove le arti prosperano in un mondo fatto di scienza. Ma tutto ciò non è una fiaba. È la vita che si ribella a se stessa, si ribella alle restrizioni imposte dalla società, vive secondo i suoi principi.
Le sorelle March non sono altro che la personalità femminile nel suo complesso, scissa in quattro parti uguali, che si compensano a vicenda. Responsabilità, irascibilità, dolcezza, infantilità, maturità, delicatezza, forza, sicurezza. Queste sono solo alcune delle parole chiave che vengono in mente assistendo alle loro strane (ma estremamente vere) vicende. Insieme formano la Donna, la femminilità che cerca di sopravvivere in un mondo avverso, dove l’Uomo ha conquistato con la forza la sua condizione di supremazia. Quindi, ciò che resta loro da fare è eludere le estremamente fallibili “difese” dell’universo maschile per riuscire non tanto a prevalere, ma a far sentire la loro voce, forte quanto sublime, dirompente quanto elegante.