Piece by Piece recensione film di Morgan Neville con le voci originali di Pharrell Williams, Kendrick Lamar e Timbaland [Anteprima]
di Paolo Maltzeff
Lo sapevamo ancora prima di guardarlo: Pharrell Williams è l’incarnazione dell’alienazione e della bizzarria, e Piece by Piece — scritto, diretto e prodotto da Morgan Neville — ne è la chiara dimostrazione.
Presentato al Telluride e al Toronto Film Festival, il film ripercorre la vita del poliedrico cantante e produttore statunitense, ricostruendola pezzo dopo pezzo, mattoncino dopo mattoncino
Un artista che è diventato una figura centrale nella musica pop, hip-hop e R&B grazie al suo stile unico e alla sua continua capacità di innovare.
Pharrell Williams incarna la pura versatilità: un visionario culturale capace di influenzare moda, arte e musica contemporanea.
La scelta di realizzare il film interamente con i Lego evidenzia la grande ambizione della pellicola: sorprendere lo spettatore e creare immagini che superano i limiti del live-action.
La vita di Williams è variegata: dall’adolescenza nei quartieri popolari, agli anni scolastici tumultuosi, fino all’ascesa musicale, inaspettatamente il capitolo meno riuscito.
Un’ascesa sudata e impegnativa, in cui il protagonista comunica agli spettatori che per arrivare in alto è necessario partire dal basso. La parte iniziale del percorso è senza dubbio quella più scoraggiante, lunga e noiosa, ma rappresenta l’unica chiave per accedere ai livelli superiori.
Il punto di forza di Piece by Piece è che può essere visto come un documentario motivazionale rivolto a chi si sente sconfitto ancor prima di iniziare la gara.
Un’opera che incoraggia lo spettatore a non mollare mai e a non trasformare la propria demotivazione – fase lecita e inevitabile di ogni percorso – da temporanea a permanente.
Una pellicola che saprà affascinare coloro che si trovano ad affrontare un futuro incerto, sfuggente e difficile da decifrare, spesso accompagnato da una fastidiosa negatività. Ciò che Williams sottolinea con forza è: ‘Se ce l’ho fatta io partendo da qui, potete farcela anche voi’.
Tuttavia, il dispiacere più grande è che Piece by Piece aveva tutte le carte in tavola per aprire la strada a un nuovo modello di biopic, ma il risultato non sembra confermare questa promessa. Una delle difficoltà più grandi del film riguarda la sua destinazione, ovvero il target a cui si rivolge.
Dalle premesse ci si aspettava un film capace di coinvolgere sia adulti che bambini: i primi avrebbero trovato il processo creativo e la nascita della musica che nei primi anni 2000 li accompagnava nelle cuffie, i secondi i loro amici Lego. Purtroppo, accade quasi l’opposto.
I bambini troveranno tanta noia e dettagli che rimarranno incomprensibili anche dopo aver visto il film; gli adulti si imbatteranno in un biopic che di originale ha ben poco, nemmeno l’onestà e la trasparenza che un prodotto del genere dovrebbe garantire.
Piece by Piece adotta un approccio fin troppo infantile, che non trova riscontro né da un lato né dall’altro del pubblico. Parte con un respiro narrativo ampio, intriso di adolescenza, famiglia, dilemmi morali ed esistenzialisti, ma si evolve e si conclude con interviste insensibili e sequenze brevissime. La loro durata effimera impedisce lo spettatore di comprendere pienamente o di entrare in sintonia con il racconto.
La definizione di genio incompreso introdotta nei primi minuti si trasforma rapidamente in quella di un genio incomprensibile, e lo spettatore è il primo a risentirne.
L’ultimo documentario di Morgan Neville, una volta giunti alla conclusione della visione, si rivela come un tentativo di esplorare il binomio colore/musica, ma finisce per trascurare il fatto che il primo non riesce mai a emergere pienamente, mentre la seconda rimane relegata a un semplice sottofondo sonoro, piuttosto che diventare l’effetto di un autentico strumento di riscatto sociale.