Pinocchio di Guillermo del Toro recensione film Netflix di Guillermo del Toro e Mark Gustafson con le voci originali di Ewan McGregor (il Grillo), David Bradley (Geppetto), Gregory Mann (Pinocchio e Carlo), Burn Gorman (il Prete), Ron Perlman (il Podestà), John Turturro (Mastro Ciliegia), Finn Wolfhard (Lucignolo), Cate Blanchett (Spazzatura), Tim Blake Nelson (i Conigli Neri), Christoph Waltz (il Conte Volpe) e Tilda Swinton (lo Spirito del Bosco e Morte)
Una rivisitazione brillante e audace, che eccelle non soltanto nel mondo dell’animazione, ma del cinema in generale. Un’opera molto più complessa di quanto sembri a prima vista.
Pinocchio di Guillermo del Toro è un adattamento abbastanza “libero” in cui il regista messicano impregna con le sue ossessioni personali il racconto italiano, cercando però di non tradire lo spirito dell’originale. Riconosciamo il commovente microcosmo che caratterizza il racconto: la fiaba, il tempo e le sue clessidre, i mostri, la religione e la solitudine. Tutti questi elementi funzionano straordinariamente bene e si fondono alla perfezione.
I mondi del regista messicano e quello di Carlo Collodi si accostano e si moltiplicano come specchi dando vita ad una versione malinconica del classico letterario; una metafora della ribellione e della disubbidienza.
La versione di Del Toro (co-diretta dall’esperto di stop-motion Mark Gustafson) è un delizioso delirio visivo nel quale si aggiunge un altro elemento, già visto ne Il labirinto del fauno e ne La spina del diavolo: la politica. Nella linea narrativa la guerra è un fattore importante per lo sviluppo dei personaggi. È la forza implacabile che costringe i giovani a pensare da adulti, anche quando non riescono a capire tutto quello che accade intorno.
Il film, al cinema dal 4 dicembre e disponibile su Netflix dal 9 dicembre, si svolge tra le due grandi guerre. L’ascesa del fascismo e di Benito Mussolini al potere fanno da cornice ad una situazione che sarà direttamente connessa alle avventure e alle peripezie del piccolo protagonista. Questo sfondo sarà utile anche per realizzare un’intelligente favola antifascista, senza perdere di vista le idee centrali della storia che tutti conosciamo.
Del Toro dà ampio spazio a quello che potrebbe essere il “prequel”. Narrato con la voce fuori campo di Sebastian il Grillo (Ewan McGregor) il film, infatti, inizia con la morte di Carlo, il gentile e amato figlio di Geppetto (David Bradley) che, devastato da questa perdita, trascorre diversi anni in uno stato catatonico. Una sera, ubriaco, l’ingegnoso falegname in un impeto di angoscia e dolore realizza Pinocchio (Gregory Mann), che diviene un figlio surrogato.
Un dramma politico sul vero significato della libertà. Una potente rappresentazione della relazione padre-figlio e carica di temi come vita, morte, abbandono, sacrificio e, soprattutto, l’effimera magia dell’essere vivo. Il piccolo burattino è iperattivo, al limite dell’irritante, e con l’ansia di conoscere il mondo. Mette in discussione la religione, fa domande scomode e non accetta le regole ma questa sua disubbidienza viene assolta poiché Geppetto ritiene sia parte del processo di crescita.
Il burattino emerge con la sua carica eversiva in un mondo che si vorrebbe intristito e ingabbiato dalle regole ferree tipiche di una dittatura.
Il lavoro di animazione è strepitoso in ogni dettaglio ed in ogni scena. Lo spettatore rimane ammaliato dalla straordinaria maestria nella creazione e nell’interazione tra i personaggi che sembrano quasi umani nelle movenze e nelle fattezze. Il tutto scandito dalla meravigliosa musica di Alexandre Desplat.
Nonostante questo Pinocchio si allontani da una visione pessimistica dell’esistenza, è carico di momenti dolorosi ma che si rivelano necessari per accogliere le meraviglie del futuro.
Pinocchio è un atto di rivoluzione in cui Geppetto ha un figlio, Pinocchio una vita e il Grillo, finalmente, la sua storia da raccontare.