Project Power recensione film di Henry Joost e Ariel Schulman con Jamie Foxx, Joseph Gordon-Levitt, Dominique Fishback, Rodrigo Santoro, Amy Landecker e Kyanna Simone Simpson
Mattson Tomlin, un nome che inizia a sentirsi nominare sempre più spesso ultimamente.
È sua la sceneggiatura del prossimo live action di Mega Man e la collaborazione come co-sceneggiatore insieme a Matt Reeves per l’incombente ed ennesima versione sul grande schermo delle avventure del milionario eroe pipistrello, The Batman (2021), con protagonista Robert Pattinson.
Sua anche l’idea iniziale (tratta da una “sceneggiatura speculativa”, uno “spec script” senza committenza) di questa estiva opera, Project Power, l’ultima goliardata filmica che Netflix ha presentato sulla sua piattaforma nella vigilia di Ferragosto, forse per colmare l’assenza di blockbuster hollywoodiani causa pandemia mondiale.
Project Power: la sinossi
Per rinunciare a cinque minuti di superpoteri, anche se è una tempistica veramente irrisoria, ci vorrebbe comunque un grande coraggio e se si venisse a sapere che le nuove, sperimentali pillole che girano in città non creano nessun tipo di dipendenza ma sono in grado di dare effetti completamente soggettivi, la cosa si farebbe ancora più allettante.
Supereroe o supervillain? A noi la scelta!
C’è chi diventa una palla di fuoco vagante, chi si trasforma in una sorta di Hulk, chi è in grado di provocare gigantesche esplosioni.
Ognuno di noi si sente piccolo e impotente e ha bisogno di una scarica di adrenalina di tanto in tanto, lo sappiamo, indipendentemente dal luogo di origine.
Ci sono poi, forse, luoghi al mondo in cui sentirsi superiori è di vitale importanza per elevarsi o anche solo sopravvivere alle pressioni sociali ma in particolar modo alle difficoltà della vita da quartiere.
New Orleans è la città in questione, e la “droga” la sta smerciando la classica misteriosa organizzazione di criminali con l’intenzione di farne un nuovo “vangelo”, utilizzando i suoi pusher come “apostoli” che diffondano la parola del magnate (Rodrigo Santoro).
Art (Jamie Foxx) l’ha provata solo una volta, poi mai più, per un motivo che è tutto da scoprire. È determinato a fare qualsiasi cosa pur di ritrovare sua figlia Tracy (Kyanna Simone Simpson), che è stata prelevata dall’auto dopo un incidente stradale che hanno avuto insieme (non si sa bene quando) e che nei flashback di Art urla e scalcia tra le braccia di un gigante barbuto mentre viene portata via.
“Il potere non deve darlo una pillola, deve venire da dentro, dobbiamo decidere noi come svilupparlo e farlo diventare un’arma”, questo il monito che Art ripete a Robin (Dominique Fishback), l’adolescente con la passione per il rap, ma che già spaccia le pillole per le strade della città – è un lavoretto criminale che fa per sbancare il lunario e permettersi di pagare le cure per sua madre, che non sembra stare benissimo di salute.
Uno dei suoi clienti abituali è il poliziotto Frank Shaver (Joseph Gordon-Levitt), che nonostante faccia parte della NOPD, si serve spesso della “droga” perché in grado di renderlo a prova di proiettile, proprio come Luke Cage.
Difficoltà e diffidenze iniziali porteranno i tre sulla strada per la nave nella quale Tracy è tenuta prigioniera; il gioco di squadra, come in tanti altri film d’azione o cartoon, la farà da padrone, fino al tanto atteso finale.
La struttura
Il gusto estetico c’è e si nota, l’uso di diverse macchina da presa pure, le scene d’azione ricoprono l’intero film, il montaggio non è eccellente ma gli effetti speciali ci sono e sono tanti, troppi forse. L’opera di Henry Joost e Ariel Schulman gioca infatti le sue carte soprattutto sul piano visivo e sonoro: i colori sono sempre sgargianti, la musica è sempre pomposa e coerente con le sequenze proposte, l’attenzione non cala quasi mai.
Nonostante tutto la trama è scarna, scarseggia di chissà quale colpo di scena, presenta un personaggio sopra le righe (Robin) che è frutto del politically correct odierno, una sorta di eroina della situazione che deve occuparsi di sua madre perché malata, che è intelligente ma disillusa, che è in grado di girare per le strade di New Orleans a bordo di motociclette enormi, che sembra avere il doppio del coraggio dei due protagonisti che le stanno accanto e che spesso finiscono per essere di contorno.
Come se non bastasse il film regala momenti imbarazzanti in almeno due circostanze in cui la qualità si abbassa di netto.
Un’opera che ricorda titoli già visti e che purtroppo diventa prevedibile. Se poi si pensa che l’idea iniziale non è neanche poi così tanto originale, ci si ritrova davanti al classico prodotto mainstream che altro non fa che mischiare idee di cartoni Anni ’60 come Roger Ramjet, fumetti come Captain America e Mr. Terrific, recenti storie di Batman (in particolare verso la fine del lavoro di Scott Snyder alla sceneggiatura – vedasi il suo Mr. Bloom, personaggio dell’iniziativa editoriale The New 52, in grado di distribuire superpoteri con dei semi); ma forse l’assomiglianza più lampante è quella con il romanzo del 2011 Territori Oscuri, di Alan Glynn, base dalla quale partì Neil Burger per sviluppare il suo adattamento cinematografico Limitless dello stesso anno, del quale venne poi realizzata una serie TV da 22 episodi, quattro/cinque anni più tardi.
Le premesse suonano negative, eppure serbiamo nel profondo una speranza per i futuri lavori di Joost e Schulman che siano in grado di essere un connubio perfetto tra azione, effetti speciali, regia ma soprattutto originalità e sviluppo narrativo.